Versi di David Taglieri “Metropolitana”
La metro viaggiava sulle rotaie vergando versi di fumetti di pensieri, di quei pochi stoici, storici ed anticonvenzionali che ancora consumavano i percorsi della linea appuntando pensieri su blocchi, sfogliando pagine di vita, sfatando antiche consuetudini tecnologiche volte a promuovere l’immagine dell’uomo gobbo, chino e proteso sulle applicazioni noiose, patetiche ed apatiche dell’era 4.0. Si incrociavano gli sguardi ogni tanto, fra quelli che si comprendevano nella condivisione della cultura, della lettura e della scrittura. I fogli e le pagine volavano nel vento e tornavano in ordine sotto il controllo dei fruitori.
Mentre Federica disegnava una piazza immaginaria dell’Italia contenente Piazzale Michelangelo che occhieggiava Firenze , il Lungo Tevere bagato dalla cupola, le gondole veneziane ed il golfo napoletano, Lara a suo fianco gettava giù di getto e di inchiostro versi da dedicare al suo Sergio, lontano per logiche militari. Dante ripensava alla mattinata trascorsa da Ciampini con quella creatura irripetibile e angelica che forse non aveva compreso che la sua bellezza non era scalfita da due brufoli sulla fronte, che, invece la rendevano più affascinante e più umana. Quella mattina sembrava cambiata, per quanto poco la conoscesse: dava tutta l’impressione di avere metaforicamente pitturato su quel tavolino di un bar dai contorni antichi, di un tempo inafferrabile, uno spartiacque fra la sua vita precedente e quella successiva. Lei non era bella soltanto esteriormente, ma pareva che questo non lo volesse accettare, bloccata da un’autostima che si fermava allo specchio, ma avrebbe dovuto volare nelle sue profondità, innegabili, oggettive, tristemente rifiutate dalla stessa . Non la incontrò più, ma rimase targata sui polpastrelli e sulle dita l’immagine di quella ispirazione e l’ispirazione di quella immagine. Prese il quaderno ed incominciò ad assecondare i movimenti della mano e del cervello intuendo che la frequentazione sarebbe finita lì. Stefano progettava idee annusando le impressioni della gente e chiedendosi perchè i social paradossalmente avessero ucciso la socialità e la socievolezza. Guardava nel vuoto ma ci vedeva l’infinito. Gli annunci degli arrivi nella stazione rappresentavano l’opportunità per i quattro di darsi una veloce occhiata ascoltando contemporaneamente i ritmi della velocità e le sinfonie dell’introspezione.
Improvvisamente Betta in fondo al treno con la sua solarità e la sua gioia di vivere decise di intonare una canzone, si alzò procedendo verso il quartetto invitandoli ad alzarsi e a brindare alla vita…andò via la rete e tutti rimasero senza internet. Il chiasso prodotto dalla riflessione interiore e dal pensiero dava tutta l’idea di aver prodotto qualcosa di imporante: le persone incominciarono a guardarsi, a parlare scoprendosi umane senza un dispositivo anonimo. Il cane di Socrate incominciò a scodinzolare galvanizzato dalle attenzioni che lo circondavano.
Ed il canto di Lucio sostituì la radio della metropolitana fredda ed ibrida, stimolando i passeggeri ad una danza del tempo e dello spazio. In movimento i corpi e le anime fanno rallentare gli orologi.