Miti e archetipi: una passeggiata
Miti e archetipi … La Grande Paura, la Paura del Caos doveva aver ripreso alla gola i giganti, di vichiana memoria, quando si schiantò con violenza in mezzo al fitto fogliame della foresta …
Sommario
Miti e archetipi: una passeggiata
I giganti e il Caos. Gli omuncoli e noi.
La Grande Paura e la nostra paura che evitiamo di sentire.
Simboli, segni, riconoscimento di codici culturali.
con sosta, meraviglia, sbigottimento di quanto siano lontani eppur vicini a noi.
Premessa
Ho il blocco dello scrittore, amici e non amici. I tempi mi paiono funesti. Ci sono rimescolii di acque torbide, mi sembra che i rivoli dello Stige lambiscano e in alcuni casi inondino le persone e le cose. Non siamo più padroni di un destino di speranza. Abbiamo bruciato le tappe e la terra madre sta richiedendo il prezzo delle responsabilità che tutti rifuggiamo.
Mi sento un po’ Cassandra, con la differenza che ho mutato la parola in silenzio e sto cercando di rintracciare la parola come fondamento di una ratio umana. Di nuovo. E ancora.
Penserete che stia dando i numeri, ebbene, forse sì, ma se ci riflettete fino in fondo, la verità appartiene alla voce non omologata. Da che parte starete spetta solo a voi.
Non è la prima volta. Non è il primo tempo di rivolgimenti… E in questi casi, nei miei anni precorsi mi mettevo a cercare risposte nei libri.
Internet non serve a molto per trovare risposte. Per trovarle devi fartele le domande e son quelle che fai a te stessa che spaventano e inducono alla cerca dei libri. Internet al limite può aiutarti a scorrere un catalogo librario ma poi scendi alla più vicina libreria e, se non ce l’hanno il libro che vuoi, lo ordini e aspetti di aprirlo quando ti arriverà.
Sulla scia delle molliche di Pollicino sono andata a rileggermi un po’ di Santo Graal della mente e ho trovato una bella compagnia.
Un amico vero (S.T.) e che, ahimè è nel regno delle Ombre luminose, mi conforta con quanto andava dicendo… “bisogna ritornare ai classici” con un sorriso non da saccente ma di colui che sapeva ciò che andava dicendo.
Ed io ai classici mi sono appellata.
I giganti e il Caos. Gli omuncoli e noi.
La Grande Paura, la Paura del Caos doveva aver ripreso alla gola i giganti, di vichiana memoria, quando si schiantò con violenza in mezzo al fitto fogliame della foresta
un bagliore di intensa bianchezza, insopportabile ai loro occhi, avvezzi alla oscurità del luogo.
Si trattava di un elemento estraneo, da riconsiderare all’interno del loro antico sistema di riferimento, da riportare nell’ambito del loro “conosciuto”, per scongiurare la paura del vuoto, dell’indeterminatezza che quel “biancore” produceva nel più profondo dell’essere.
Erano tutt’uno con l’ambivalente Grande Madre, terribile ed amorosa. E in quanto tali erano consegnati alla sterminata foresta dell’inconscio. Non avevano mai visto il cielo, e non lo videro neppure allora, poiché rivolti gli occhi in alto, scorsero soltanto le fitte foglie degli alberi della foresta. Non poterono però escludere il nuovo accadimento: una luce, un’illuminazione aveva interrotto le tenebre ed era giunta dall’alto.
Pertanto “si finsero il cielo” come un grande corpo possente, a loro immagine, che ordinava attraverso alcuni segni una nuova esistenza.
La Grande Paura e la nostra paura che evitiamo di sentire.
Rendere comprensibile la Grande Paura comporta una duplice operazione culturale. Il primo passo risiede nel riconoscerla innanzitutto come intrinseca all’essere umano stesso sia esso individuo singolo e poi collettivo.
Il secondo passaggio sarà quello di tentare di padroneggiarla, ricavando dei simboli significativi da tradurre in segni nel proprio sistema di riferimento.
L’atto di rappresentare un’immagine nella propria mente, riconoscibile nel pensiero umano, dall’antichità al nostro momento storico, in cui si è sempre di più affinato, si può ravvisare nelle cosiddette “comunità altre”, oggi si chiamano solo “Altri”, “Diversi” (sic e doppio sic), attraverso lo studio e l’analisi delle mitologie.
L’aver considerato l’esperienza dell'”illuminazione” presso i “giganti” di Giambattista Vico ci è utile per sottolineare la doppia necessità del pensiero occidentale di “fondarsi” e di “conoscere” l’indistinto che ha preceduto l’umanità — che indirettamente conferma la presenza della Grande Paura della propria dispersione –, e poi anche per introdurre un ulteriore elemento.
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Simboli, segni, riconoscimento di codici culturali.
La diversa valorizzazione di un linguaggio simbolico o segnico riconduce alla difficoltà d’interpretazione dei diversi sistemi culturali. Ciononostante il prodotto del pensiero umano, che si concretizza negli svariati codici culturali, nell’operazione antropologica di decifrazione, svela la presenza di costanti psicologiche, simboliche, proprie del pensiero, inteso come processo (Clifford Geertz, Interpretazione di culture (1987), Antropologia interpretativa (1988), p.191).
Tali costanti attengono più al regno del simbolo che non al mondo del segno. L’antica diatriba tra pensiero “unificante”, retto da archetipi universali e pensiero “pluralistico”, storicamente prodotto potrebbe sciogliersi rilevando il pensiero come dualità problematica di unità e pluralità.
La ricorrenza di forme simboliche simili, all’interno di ciascuna delle diverse culture, presenti sia pure in tempi “storici” non comparatisticamente confrontabili, ci fa chiedere, con Mircea Eliade, se non esista “nessun mezzo di approccio all’Immagine, al simbolo, all’archetipo, in quella che è la loro struttura, in quella totalità che abbraccia tutte le “storie” pur senza confonderle (?)” (Mircea Eliade, Immagini e simboli: saggi sul simbolismo magico-religioso, p.145).
L’incapacità di ogni singola cultura di colloquiare con le altre deriva dalla diversa valorizzazione delle immagini, degli archetipi che, in una determinata regione, concorre a produrne lo “stile culturale” precipuo: nessun particolare stile potrà mai definirsi “universale” e trasmissibile, sic et simpliciter, poiché è per ciò stesso limitato dalla sua storicità.
Ciò che invece può mantenere “aperte” reciprocamente le singole culture è la proiezione in esse degli archetipi, dei simboli, che soli sono presenti universalmente nell’inconscio collettivo, sì da consentire alle singole “storie” di comunicare tra di loro.
Questo percorso può interrompere la spirale del “noi logici, voi confusi” ributtandone totalmente la falsità e il provincialismo su chi si arrocca, come re, nella vecchia cittadella della propria “civiltà” vista sempre come il “mondo migliore possibile”.
Il linguaggio simbolico, osserva Mircea Eliade nel suo “Immagini e simboli”, è fondativo del pensiero arcaico e viene ritrovato nella vita di qualsiasi società tradizionale. Ma la testimonianza che esso non sia una peculiarità delle “culture altre” la si rintraccia proprio all’interno della nostra cultura.
Più di un approccio, dalla psicologia del profondo alla storia delle religioni, dal surrealismo alla poesia fino alla filosofia non scientista, tendono a confermare in Occidente l’attualità e la forza delle Immagini, dei simboli, intanto perché preesistenti al linguaggio segnico e al ragionamento discorsivo e poi perché sono creazioni della psiche e, come tali, fattori strutturali transtorici.
Bisognerà intendersi pertanto su un dato essenziale. La struttura polivalente e contraddittoria del linguaggio simbolico, affinché possa essere un valido strumento di conoscenza, non dovrà essere costretta in concetti concreti. L’immagine contiene e ingloba tutte le allusioni al “concreto”, ma nello stesso tempo le travalica.
“Essa è “vera” in quanto tale, in quanto fascio di significati, mentre non è vero uno solo dei significati oppure uno solo dei piani di riferimento” (Mircea Eliade, p.18).
Si sarà compreso, immagino, che propendo per le commistioni tra generi, dalla letteratura alla filosofia, dalla storia alle storie del mondo; dai simboli agli archetipi ai segni concreti che danno il nome alle cose e ai sentimenti.
Il mondo, l’umanità è un gran paradosso di sé e di altro da sé. Se storcete il muso, soffermatevi più in là e riflettete, ognuno di noi non è Uno, ma è Molteplice … Vedi Arlecchino **.
Nella sua significanza simbolica era una maschera trasformativa e specchio riflettente delle proprie paure e di quelle altrui …
continua