Mostra DIVISIONISMO La rivoluzione della luce Novara Castello Visconteo Sforzesco 23 novembre – 5 aprile 2020
La grande mostra Divisionismo La rivoluzione della luce che ha aperto il 23 novembre sino al 5 aprile 2020 a Novara nella magnifica cornice del Castello Visconteo Sforzesco ha l’ambizione di essere la più importante mostra dedicata al Divisionismo realizzata negli ultimi anni, movimento giustamente considerato prima avanguardia in Italia.
Promossa e organizzata dal Comune di Novara, dalla Fondazione Castello Visconteo e dall’Associazione METS Percorsi d’arte, in collaborazione con ATL della provincia di Novara, con i patrocini di Commissione europea e Provincia di Novara, con il sostegno di Banco BPM (Main Sponsor), Regione Piemonte, Fondazione CRT e Esseco s.r.l., è curata dalla nota studiosa Annie-Paule Quinsac, tra i primi storici dell’arte ad essersi dedicata al Divisionismo sul finire degli anni Sessanta, esperta in particolare di Giovanni Segantini – figura che ha dominato l’arte europea dagli anni Novanta alla Prima guerra mondiale –, di Carlo Fornara e di Vittore Grubicy de Dragon, artisti ai quali ha dedicato fondamentali pubblicazioni ed esposizioni.
Per la sua posizione geografica, a quarantacinque chilometri dal Monferrato, fonte iconografica imprescindibile nell’opera di Angelo Morbelli, e appena più di cento dalla Volpedo di Giuseppe Pellizza, senza dimenticare la Valle Vigezzo di Carlo Fornara, Novara è infatti luogo deputato per ospitare questa rassegna, incentrata sul Divisionismo lombardo-piemontese: i rapporti con il territorio ne hanno determinato le scelte e il taglio complessivo.
Il Divisionismo nasce a Milano, sulla stessa premessa del Neo-Impressionnisme francese – meglio noto come Pointillisme -, senza tuttavia che si possa parlare di influenza diretta. Muove dall’idea che lo studio dei trattati d’ottica, che hanno rivoluzionato il concetto di colore, debba determinare la tecnica del pittore moderno. Si sviluppa nel Nord d’Italia, grazie soprattutto al sostegno di Vittore Grubicy de Dragon, mercante d’arte, critico, pubblicista e a sua volta pittore, che con il fratello Alberto gestisce a partire del 1876 una galleria d’arte a Milano. E’ Vittore a diffondere tra i pittori della sua scuderia il principio della sostituzione della miscela chimica dei colori tradizionalmente ottenuta sulla tavolozza, con un approccio diretto all’accostamento dei toni complementari sulla tela. Da dato chimico, il colore diventa fenomeno ottico e alla dovuta distanza l’occhio dello spettatore può ricomporre le pennellate staccate in una sintesi tonale, percependo una maggior luminosità nel dipinto.
Presto il Divisionismo da Milano e dalla Lombardia si allarga al Piemonte: la pennellata divisa è destinata a diventare strumento privilegiato nella traduzione di una poetica della natura o di una messa a fuoco delle tematiche sociali. Solo Gaetano Previati, irreducibilmente antirealista sin dagli esordi, elabora una visione simbolista che scaturisce dal mito, da un’interpretazione visionaria della storia o dall’iconografia cristiana, agli antipodi di quella di Segantini sempre legata alla radice naturalista di una percezione panica dell’alta quota.
Ordinata in otto sezioni tematiche, l’esposizione consta di settanta opere tutte di grande qualità e bellezza, provenienti da importanti musei e istituzioni pubbliche e da collezioni private.
Sala 1. Il prologo
La mostra si apre con uno sguardo rivolto alla scuderia di artisti della galleria Grubicy. Troviamo qui le opere di Tranquillo Cremona con Pensierosa (1872-1873), Daniele Ranzoni con Il bambino Morisetti (1885), Giuseppe Pellizza da Volpedo con Le ciliegie (1888-1889), Angelo Morbelli con La partita alle bocce (1885), Gaetano Previati con Le fumatrici di hashish (1887), Emilio Longoni con Le capinere (1883), Vittore Grubicy, Giovanni Segantini con La portatrice d’acqua (1886) e Dopo il temporale (1883-1885). Quest’ultimo dipinto, uno dei capolavori del periodo brianteo, è prevalentemente uno studio di luce, attraverso il quale prende vita un momento nel quotidiano della pastorizia. Non ancora divisionista, il dipinto è giocato su ricchi toni di argentei, verdi e giallo modulati sulla tela in impasti fluidi di vario spessore che suggeriscono lo squarcio di luce che irrompe tra i nuvoloni, l’umidità del terreno, la lana bagnata delle pecore, l’effetto del vento sui i protagonisti.
Sala 2. La I Triennale di Brera. Uscita ufficiale del Divisionismo italiano
La seconda sezione è dedicata alla I Triennale di Brera tenutasi a Milano nel 1891, ricordata come “uscita ufficiale del Divisionismo in Italia” in cui furono presentati esempi emblematici di pittura divisa, realizzati dai principali esponenti del gruppo: Segantini, Morbelli, Pellizza, Previati, Longoni e Giovanni Sottocornola. Lo stesso Vittore Grubicy, obbligato ad abbandonare nel frattempo la gestione della galleria, presentava paesaggi di transizione, mentre Pellizza e Sottocornola vi si sarebbero avvicinati di lì a poco.
A pianoterra si potrà ammirare la grandiosa e magnifica Maternità (1890-1891) di Previati di proprietà del Banco BPM che ritorna nel capoluogo piemontese dove non è mai stata esposta e che, proprio per l’eccezionalità del prestito, si potrà ammirare con ingresso gratuito. L’opera è frutto di due anni di sperimentazione pittorica ed è una reinterpretazione in chiave laica del tema rinascimentale della Madonna col bambino circondata dagli angeli. Ispirato all’artista dal concepimento del primo figlio, il dipinto propone l’eterea visione della prima madre che allatta il suo bambino, appoggiata ad un melarancio spoglio in un giardino dalle folte erbe. Pennellate di colori puri, a pioviscolo nel cielo e a lunghi filamenti flessuosi che disegnano le forme, traducono uno stato di meraviglia tra realtà e sogno. Quel felice connubio tra Divisionismo e Simbolismo fece sì che Maternità fosse l’opera più controversa e derisa della I Triennale di Brera. Si parlò addirittura di “eclisse di genialità”. La novità della tecnica che veicola un innegabile misticismo suscitò l’accanimento della critica non ancora pronta ad accettarne né simbolismo né modernità pittorica.
Al primo piano troviamo esposte alcune tra le opere più celebri presentate a quella Triennale, lavori già divisionisti, oppure appartenenti ad artisti che a breve avrebbero sperimentato questa nuova tecnica: Vacca bagnata (1890) di Segantini, Un consiglio del nonno – Parlatorio del luogo Pio Trivulzio (1891) di Morbelli, Bosco (1887-1891-1912) di Grubicy, Il mediatore (1891) di Pellizza da Volpedo e Fuori di porta (1891) di Sottocornola, L’oratore dello sciopero (1890-1891) di Longoni. Questo dipinto, uno dei “manifesti” del divisionismo, si contraddistingue, grazie al taglio fotografico, per la sua audace composizione di straordinaria ampiezza. Il crudo realismo del cromatismo del disegno rivela una volontà di fare della pittura uno strumento di militanza politica. Come Nomellini, Longoni fu recettivo alle idee anarchiche e socialiste che lo condussero a fare della rivolta dell’operaio cittadino, soggetto non considerato dalla pittura contemporanea in Italia, il fulcro del suo operato. Tramite la tecnica, non ancora rigorosa nella divisione del tono, dalla pennellata espressiva e dal colore acceso, il dipinto proclama una ineluttabile corrispondenza tra tematica e linguaggio pittorico.
Sala 3. L’affermarsi del divisionismo
Nella terza sezione, incentrata sul trionfo del Divisionismo e i suoi principali interpreti, trovano spazio capolavori come
All’ovile (1892) di Segantini, dipinto da tempo assente dalla scena espositiva, Fontanalba (1904-1906) di Fornara, Riflessioni di un affamato (1894) di Longoni, La Diana del lavoro (1893) di Nomellini, Sogno e realtà (1905) di Morbelli proveniente dalla Fondazione Cariplo, Gallerie d’Italia. Accanto ad essi altre pregevoli opere di Fornara, Longoni, Nomellini, Grubicy e Sottocornola.
All’ovile di Segantini fa parte di un ciclo di tre opere dedicate agli effetti della luce di una lanterna in un ambiente buio. Queste tele traspongono in un linguaggio sperimentale moderno gli stilemi della tradizione luminista seicentesca, da Caravaggio a Le Nain senza dimenticare i Fiamminghi o gli effetti luministi delle acqueforti di Rembrandt, che Segantini ben conosceva. Il soggetto riprende il parallelo tra l’essere umano e l’animale, la maternità come fatto naturale che unisce le creature bisognose di luce, tenerezza e caldo. Segantini aggiunge in questa opera oro in polvere e in particelle incorporate ad impasto fresco in modo di accentrare la luce ambientale sul dipinto per creare un suggestivo luccichio che fa ulteriormente vibrare la luce. Come sempre in Segantini colpisce una profonda capacità di suggerire l’essenza delle cose, la loro fisicità: tutto prende vita persino il tepore.
Fontanalba di Fornara è il capolavoro che conclude il ciclo dedicato all’alpeggio estivo della valle Vigezzo, detto “in sui” dove il pittore trascorse le estati dal 1903 al 1905. Punta “Fontanalba” è la scheggia di uno dei tanti dirupi che dai 2259 metri domina una zona desolata, di scarsa vegetazione, punteggiata da laghetti. Iniziato in un momento in cui Fornara aveva finalmente superato l’immenso dolore della scomparsa nel 1899 di Segantini, del quale era stato l’assistente a Maloja, il dipinto fu ultimato nello studio nella natia Prestinone, usando materiale previamente elaborato in luogo: disegni, fotografi, e studi ad olio. Fontanalba dimostra come adoperando elementi della tecnica segantiniana, Fornara ambisse a dare volto alla sua valle, sottolineandone l’intrinseca diversità dall’Engadina ispiratrice del maestro. Alzando la linea dell’orizzonte e ribaltando il profilo della catena di montagna, Fornara dà presenza al cielo sconfinato e al lago creando uno spazio pittorico di trasparenza e riverberi, ancora più sottolineato dal realismo del primo piano, minuto nella sua resa divisionista, con i sassi, i rododendri in fiore, la mucca e il vitello. Natura trasfigurata che dimostra come Fornara avesse assimilato la lezione di Segantini, pur senza essere schiavo della sua visione.
Nel celeberrimo dipinto di Longoni, Riflessioni di un affamato colpisce la maturazione della tecnica divisionista, una tessitura raffinatissima di segni senza spessore che catturano la luce bianca di un giorno nevoso e i suoi riflessi. Il taglio compositivo è da illustrazione, ma la voluta freddezza del linguaggio coloristico esprime senza cadere nel pathos l’estraneità del ragazzo, l’affamato infreddolito che guarda con dolorosa curiosità la copia benestante a tavola, al caldo. Il dipinto traduce con forza la diseguaglianza sociale in una città in cui i poveri aumentano esponenzialmente in funzione dell’arricchimento dei pochi.
Sala 4. Pellizza da Volpedo. Tecnica e simbolo
La quarta sala è interamente dedicata a Pellizza da Volpedo, con cinque opere fondamentali nel percorso dell’artista: Il ponte (1893-1894), Il roveto (Tramonto), (1900-1903), La processione (1893-1895), Sul fienile (1893-1894) e Nubi di sera sul Curone (1905-1906).
Il ponte è un vero gioiellino: considerato primo dipinto pienamente divisionista di Pellizza, non era stato più visto dopo la storica mostra del Divisionismo italiano a Trento nel 1990, ed è riapparso a Milano nel 2012 in una piccola mostra presso la GAM Manzoni. Nel 1892, data presunta dell’opera, Pellizza studiava i trattati dell’ottica da circa due anni, influenzato sia dagli scritti di divulgazione di Grubicy che dall’incontro con Nomellini a Genova. Le indagini riflettografiche hanno appurato che Pellizza parte da una stesura bianca a basi di piombo preconizzata da Seurat, alla cui tela “La grande Jatte” fa riferimento. In realtà non siamo in presenza di un uso sistematico dei puntini; anche se vengono usati, sono bilanciati da filamenti di colori lunghi e corti, più raramente circolari come nelle nubi del cielo. L’opera è composta a partire di forme geometriche all’interno delle quali i colori complementari diventano elemento vibratile e si scagliano sullo sfondo bianco facendo emergere la luce anche dal gioco grafico.
Sul Fienile viene ideato nell’estate 1892, osservando di fronte allo studio il fienile di casa in ombra mentre al di là di quella struttura rettangolare si dipanava la campagna rutilante di luce, Pellizza ebbe l’idea della fine di una vita contrastante con lo scenario della natura. Diventò così il dipinto che ritrae un operario agricolo senza dimora o famiglia, che si ritrova a finire i suoi giorni sul giaciglio di paglia del fienile. Si tratta di una delle opere più commoventi dell’artista, meditazione sulla morte senza sovraccarico ideologico. Le figure in controluce che amministrano gli ultimi conforti al moribondo dallo sguardo già assente, sono rese in una minuta tessitura di scuri e chiari con filamenti di colori complementari. Dietro di loro, mentre si consuma il dramma umano, nel rettangolo portante del porticato, il verde della vegetazione in tocchi più piccoli e precisi e le geometrie delle case, zone di luce e di ombre contrastanti, riaffermano la continuità della vita. Il connubio tra la raffinatezza della tecnica, un divisionismo spinto all’estremo del rigore e la sobrietà nella resa dell’idea – la morte come momento ultimo della vicenda umana, e l’infinito rinascere della natura e dell’operato umano, immanenza e trascendenza – fa sì che l’opera sia uno degli esiti maggiori del simbolismo di Pellizza ed europeo.
Sala 5. Il colore della neve
La quinta sezione propone un focus sul tema della neve, con opere di Segantini – il celebre Savognino sotto la neve (1890), Fornara – con il magnifico Vespero d’inverno (1912-1914) che sarà restaurato per la mostra, Cesare Maggi, Morbelli, Matteo Olivero, Pellizza e Tominetti.
Savognino sotto la neve di Segantini non è stato più esposto dal 1970, quando figurò alla esposizione che la Royal Accademy di Londra dedicò al Neo-Impressionismo europeo e alla celeberrima mostra della Società Permanente di Milano dedicata al Divisionismo Italiano. Dal collezionista Luigi Dell’Acqua, industriale tessile milanese al quale l’artista lo aveva regalato, passa ai suoi eredi e, dopo varie vicende, all’attuale proprietario. Eppure, malgrado la visione ne fosse stata preclusa al grande pubblico, è un’opera che ha fatto versare molto inchiostro. Non a caso esistono alcuni falsi. È un unicum nella produzione di Segantini: rarissimi sono i paesaggi puri, e inoltre questo ha un che di espressionista non riscontrabile altrove nel corpus dell’artista. Il connubio tra materia, cromatismo e gestualità conferisce al dipinto una forte valenza emotiva. Segantini parlava della neve come morte di tutte le cose ed è proprio il sentimento che permea la tela.
Lo splendido La neve. Crepuscolo invernale (1906) è uno dei paesaggi più lirici di Pellizza, tra gli ultimi realizzati dall’artista. La veduta in cui la neve si carica di tutte sfumature del prisma è articolata su una composizione serrata. Un ruscello tra due chiuse, un ponticello vagamente giapponese e la vasta distesa dei colli che l’assenza del cielo rende ancora più infinita, sono gli elementi portanti dell’immagine e sembrano racchiudere la dolcezza della luce crepuscolare. Pellizza non lascia nulla al caso. Persino la figura della donna che corre e i gelsi brulli dalle forme contorte, sono stati inseriti per rompere il rigore geometrico. Il 14 giugno 1907, non reggendo al colpo della morte della moglie e del figlio neonato, il pittore si sarebbe impiccato nel suo studio. Il dipinto che vi era rimasto, sarebbe stato esposto, per la prima volta, alla mostra postuma organizzata da Ugo Ojetti e Morbelli alla Biennale di Venezia del 1909.
Sala 6 – Previati Verso il sogno
Nel corridoio di accesso il magnifico e grandioso Migrazione in Val Padana (1916-1917) di Previati introduce altre quattro splendide opere dell’artista tra cui le tre Marie ai piedi della croce (1888), mai più visto dal 1920, il magnifico trittico Sacra famiglia (1902) e Il vento o Fantasia (1908) prestato dal Vittoriale degli Italiani di Gardone Riviera. Il dipinto Migrazione in Val Padana, proveniente dalla collezione del figlio Alberto Previati è giunto verso la metà degli anni Trenta del Novecento presso la collezione privata Enel di Genova – Distretto Liguria che tuttora lo conserva. L’ultima uscita dell’opera è avvenuta in occasione della mostra antologica “Gaetano Previati (1852 – 1920)” presso Palazzo dei Diamanti a Ferrara nel 1969. Il magistrale trittico, la cui configurazione come un fregio in sequenza è pervasa da una luce visionaria e ne demarca la sua natura onirica e simbolista, si mostra dunque al pubblico dopo un’assenza di cinquant’anni. Il dipinto rievoca i tramonti autunnali della campagna e del paesaggio ferrarese, come un ritorno all’infanzia, alla propria terra, una “migrazione” spazio-temporale verso il passato per uno sguardo oltre il visibile, “l’eterna peregrinazione dell’umanità che va lentamente verso la luce della perfezione”.
Sala 7 – Segantini. Il gioco dei grigi
Nella sesta sala protagonisti sono sette magnifici disegni di Segantini, dove la superba tecnica dell’artista emerge in tutta la sua potenza.
Tra essi svettano Ave Maria sui Monti (1890), Vacca bianca all’abbeveratoio (1890) Rododendro (1898), che riappare in pubblico dopo più di un secolo, e La natura, disegno di presentazione (1898). Quest’ultimo è un monumentale foglio, di straordinaria raffinatezza grafica. Assoluto capolavoro del disegno simbolista di fine secolo, non è uno studio per il dipinto centrale del Trittico della Natura (Museo Segantini, Saint Moritz) bensì un disegno di presentazione che lo riprende particolare per particolare, traducendone il cromatismo e la materia in sfumature di grigio, neri e biancastri, giocati contro il giallo/marrone della carta grezza in infinite variazioni di tratti. Il disegno mantiene le stesse proporzioni e traduce la strabiliante monumentalità dell’opera ad olio, che fece poi parte, con i due pannelli laterali La Vita e La Morte del Trittico della Natura esposto all’Esposizione Universale di Parigi del 1900. La loro presenza in mostra illustra la funzione che queste opere su carta, eseguite in casa, durante le lunghe serate o giornate rigide in cui non era possibile lavorare all’aperto, assumevano per Segantini. Declinate in un’infinite varietà di tecnica – carboncino, gessi, matite dure colorate, pastelli, inchiostro, acquerello, tempera, anche sovrapposti – andavano a colmare il vuoto di olii già venduti divenendo a loro volta un vero e proprio laboratorio figurale.
Sala 8 – Il nuovo secolo. Gli sviluppi del divisionismo.
Chiude l’esposizione una sezione su l’evoluzione del Divisionismo nei primi decenni del Novecento con imponenti opere dei principali interpreti: Primavera della vita (1906) e Sorriso del lago (1914) di Longoni, Alba domenicale (1915) e Meditazione (1913) di Morbelli, Baci di sole (1908) e Sole e brina (1905-1910) di Nomellini, Ora radiosa (1924-1925) di Fornara, cui si aggiungono tele di divisionisti meno noti e legati al territorio lombardo-piemontese quali Angelo Barabino, Carlo Cressini, Cesare Maggi, Filiberto Minozzi e Matteo Olivero.
La grande tela Baci di sole di Nomellini, è un inno alla gioia di vivere. Protagonisti sono la moglie e il bambino Vittorio, loro figlio, ritratto nudo con una tenerezza sensuale. L’atmosfera, la luce, la rigogliosa vegetazione, tutto evoca questo particolarissimo paesaggio d’estate che l’artista rende in tocchi leggeri. In questa sua ricerca delle chiazze di luce riflesse, Nomellini cita e traduce in un linguaggio decisamente novecentista il miglior Renoir del Déjeuner des Canotiers (1882) o il Monet dell’inizio degli anni di Giverny, nella prima metà degli anni 80. Siamo lontani sia dai pointillistes francesi che dai contemporanei Pellizza o Morbelli. È una pittura che si affida al colore come cromatismo, luce e trascrizione dei piani, anche se lo scopo, è di esprimere un senso panico della natura nella più pura valenza dannunziana.
Un catalogo scientifico accompagna l’esposizione. Il saggio della curatrice è corredato da schede biografiche degli artisti, con schede critiche delle singole opere affidate agli specialisti di riferimento e apparati bibliografici ed espositivi.
Una mostra dunque di grande respiro, un percorso ricco e affascinante tra le opere più significative dei maestri divisionisti italiani in un luogo, l’imponente Castello Visconteo Sforzesco, ricco di storia e ristrutturato a regola d’arte per una vocazione museale.