Temptation Island: quando la commedia plautina incontra sua Maestà Maria De Filippi
Sin dai tempi di Plauto, il pubblico ha imparato ad affezionarsi agli archetipi. In quel caso erano la meretrice, il giovane scapestrato e mascalzone, la moglie chiacchierona. Nel corso degli anni, il teatro seicentesco li ha ripresi sotto forma delle maschere, esemplificative di vizi e virtù dell’umanità, Pulcinella, Arlecchino, Brighella e tutto il carnevale veneziano. Oggi abbiamo i vari programmi di “de filippiana” estrazione, tra cui svetta nella moria del palinsesto estivo Temptation Island.
Un nome un programma. Mi si dirà che il paragone e il tentativo di elevazione di ciò che elevato non è, costituisce un ardito azzardo. Ma, ragionandoci, la De Filippi non fa che riprendere uno schema che ha successo da secoli, da Terenzio arrivando a Molieré.
In questo caso gli archetipi rappresentati sono quelli moderni e tristemente quotidiani; del belloccio conteso, della moglie cornuta, dell’amante disposta a tutto per arrivare al suo scopo, del fidanzato dal carattere bonario e un po’ arrendevole. Il tutto raccontato dal menestrello Filippo Bisciglia.
In fondo, non fanno che portare in scena delle dinamiche in cui ognuno di noi almeno una volta nella vita si è ritrovato a barcamenarsi (escludendo naturalmente la vacanza pagata per più di un mese in un resort extra lusso in Sardegna). Tutti siamo stati traditi o traditori, incerti sui nostri sentimenti verso il partner. Sofferenti per non essere corrisposti come vorremmo. Ecco il segreto semplice del successo della De Filippi: applica più o meno consapevolmente uno schema che va per maschere ad ogni suo programma; e come tutte le maschere hanno successo se esprimono il tutto all’ennesima potenza.
E di certo lo fa con un’arguzia superiore al prodotto che poi genera. Mi è rimasta personalmente impressa un’intervista rilasciata dalla conduttrice pavese, in cui spiegava come si fosse preparata in maniera a dir poco maniacale per mettere a punto il format su “C’è Posta per te”. Per farlo, ha preso ad esempio la narrativa di Simenon, esercitandosi nella sintesi delle sue opere, con l’obiettivo di riportare quella forza narrativa nei vari racconti del programma. Per chi fosse a digiuno riguardo la prosa di Simenon, si tratta di romanzi apparentemente molto semplici e scarni nell’impostazione, ma in realtà capaci di essere immediati nella comprensione e di grande impatto narrativo. Chiamala scema, Maria. Non può esserlo una donna a capo di una società di produzione, la Fascino, che solo quest’anno ha generato utili per 2,6 milioni di euro, in aumento del 160% sull’anno precedente.
Il problema di base, tuttavia, è quando personaggi, come la De Filippi o mi viene in mente lo stesso Paolo Bonolis, capaci da soli di arrivare ad una così ampia fetta di pubblico, nei fatti generano programmi volutamente molto al di sotto della propria di intelligenza. C’è da dire, ad onore di cronaca che Bonolis ha anche tentato un’elevazione maggiore dei propri contenuti con un programma interessante come “Il senso della vita”, guarda caso trasmesso ad un orario improbo e scomparso relativamente in fretta dai palinsesti. Maria la Sanguinaria ci prova ogni tanto con comparsate molto politically correct dei vari Saviano and co. ad Amici nel tentativo di diffondere messaggi di pace, bene e fraternità. Detto questo, bisogna guardarsi bene dal voler a tutti i costi riconoscere un ruolo didattico alla televisione; essa va presa per quello che è, una scatola più o meno vuota da riempire di noi dei contenuti che riteniamo. Il punto sta proprio lì, nella capacità di discernimento dei contenuti da parte dei telespettatori, del loro essere in grado di distinguere ciò che è più o meno realistico (di reale c’è solo la realtà), da ciò che invece è pura finzione o ancora da ciò che è reale (e pericolosa) distorsione.
In questo, più esposti sono coloro che presentano un basso tasso di alfabetizzazione e le giovani generazioni, che, spesso, nate sotto l’egida di alcuni miti (il tronista, il concorrente da reality, il cantante vittorioso dell’ultimo talent di turno) fanno più fatica a distinguere le sfumature di colore di quel calderone che è la macchina televisiva.
Eravamo, però, partiti da Temptation Island, prima di questa lunghissima digressione sullo stato della televisione italiana. La conclusione è, come per tutti i programmi di intrattenimento per non dire suscettibili di scadere nel trash: guardarli per quello che sono, una moderna rappresentazione plautina di vizi e virtù italiche, più o meno divertente e scaccia pensieri. Anche perché questi programmi nascono per farci sentire in qualche modo migliori.
Diciamocelo chiaramente, Quark bellissimo, la Storia siamo noi meglio ancora, tutto National Geographic dal lepidottero in amore alle mutande del maori sublime, eppure quando finiscono quei programmi ci lasciano un vago retrogusto di “ma quanto sono stupido e bifolco”. Per non parlare del fatto che dieci minuti dopo aver spento il tubo catodico, tutte le nozioni sul bosone di Higgs che così sapientemente credevamo di aver assimilato risultano in realtà inghiottite in un buco nero.
Faccio un outing nemmeno troppo pieno di vergogna dicendo che personalmente i programmi trash li guardo tutti e nemmeno per far finta di farci su una disamina erudita, ma solo ed esclusivamente perché sono disimpegnati, non mi richiedono attivazione di alcuna cellula neuronale, anzi il totale spegnimento e sì mi fanno sentire un pochetto migliore di quella strana sfilata di luoghi comuni tatuati o iniettati di botulino.
L’importante è mantener saldo il proprio sguardo critico, la propria capacità di fruire di quello ma anche di Quark, con la consapevolezza che se non è la De Filippi sarà qualcun altro per lei. Panem et circenses, questo vuole il popolo, l’importante è saper riconoscere quando il potere cerca in realtà di ammansirlo.
Annarita Lardaro