Recensione di “Tenet” del regista Christopher Nolan: un bungee jumping tra lnception ed lnterstellar
Nella sua undicesima pellicola, “Tenet”, Christopher Nolan racconta la storia di una società segreta del futuro che prova con battaglie temporali e strategie complesse a impedire la fine del mondo presente.
La trama è talmente semplice da essere quasi banale: Andrei Sartori (Kenneth Branagh) è un trafficante di merci provenienti dal futuro. Quando scopre di avere una malattia incurabile decide arbitrariamente di far scomparire passato, presente e futuro con la sua morte. Si allea, quindi, con i posteri, abbastanza “incavolati” con noi esseri umani del tempo presente per una noncuranza generale che si è tradotta nello sfruttamento del pianeta terra e delle limitate risorse a nostra disposizione.
Mentre Sartori gioca a fare la divinità, nella squadra avversaria militano il protagonista (John David Washington), Neil, un matto e carismatico stratega (Robert Pattinson) e Kat (Elizabeth Debicki), la moglie del “cattivo” Andrei. I “buoni” sono finanziati da una società segreta illuminata, nata nel futuro, che credono che uccidere i propri antenati debba avere necessariamente delle gravi ripercussioni sulla posterità. Anche se nessuno ha ancora provato né questa teoria – nel film è definito il paradosso del nonno – né la teoria opposta.
Può sembrare la trama di un film della Marvel ma non lo è. Ce ne accorgiamo guardando al framing dell’intreccio quasi fiabesco.
Ogni assalto o mossa compiuta sulla scacchiera del tempo è visivamente epica. La familiarità con cui Nolan fa surfare sulle onde del tempo i protagonisti rende naturale un mondo che “gira al contrario”. La coesistenza nello stesso spazio e nello stesso tempo del presente e del futuro è esteticamente esilarante. L’incalzante colonna sonora di Ludwig è perfetta. I dialoghi brevi ma profondi sono utili riempitivi delle falle narrative che, comunque, lasciano anche immagini strepitose.
Ci sono però diversi aspetti che non convincono del tutto.
Sicuramente una parte dei miei dubbi nasce dall’abuso che il cinema sta facendo del tema “tempo”. Mi vengono in mente “Interstellar” dello stesso Nolan o anche “Doctor Strange” di Derrickson, senza dover obbligatoriamente menzionare tra i grandi classici “Ritorno al futuro”. Le regole dei viaggi temporali sono sempre le stesse. E una deresponsabilizzazione accettata all’unanimità sembra essere sempre l’unico traguardo auspicato.
Mi chiedo se il pieno controllo del flusso del tempo sia davvero l’ultima conquista che rimane all’uomo moderno. E mi domando anche se utilizzare il tempo per cancellare le inevitabili conseguenze delle nostre azioni possa essere il modo più sano e più saggio di far “fruttare” la “risorsa tempo”. Se anche fosse la nostra ultima conquista e se questa “ossessione” riuscisse a ispirare più di un regista, mi piacerebbe vederne immaginato un utilizzo diverso e meno unidirezionale.
Tornando al piano più concreto, il ruolo interpretato da John David Washington è opaco.
Il protagonista è un uomo di colore, un soldato integerrimo, dai saldi valori. Egli accetta, ignaro di tutto, la missione super segreta che Tenet gli affida per amore dell’umanità intera. Questo amore per il genere umano, nel corso del film, si catalizza su due uniche figure: Kat e suo figlio. Per loro è in grado di mettere in discussione anche le leggi della fisica. Da un eroe moderno mi sarei aspettata anche una capacità di concretezza e di realismo. A volte nel film questa capacità viene offuscata dalla cecità di Washington che lo porta a perseguire obiettivi troppo particolaristici per il ruolo di salvatore assoluto che vuole ricoprire.
Tenet è un film che vale la pena guardare e per il quale vale, anche, la pena ritornare al cinema dopo il letargo da lockdown.
Ciò non toglie che il senso delle azioni dei protagonisti a volte si perda nei vortici temporali e nelle teorie della fisica, lasciandoci uno stimolo cervellotico che, se solitario, si scopre superfluo.