“City Hunter” di Yuichi Satoh su Netflix dal 25 aprile: la recensione
Dal 25 aprile su Netflix “City Hunter”, l’adattamento cinematografico dell’omonimo manga scritto e disegnato da Tsukasa Hōjō che ha riscosso un grande successo in Giappone con oltre 50 milioni di copie vendute.
Il film del regista Yuichi Satoh racconta le avventure di Ryo Saeba, interpretato da Ryohei Suzuki, un noto “sweeper” che opera nella cruda criminalità della moderna Shinjuku a Tokyo.
Dopo aver ricevuto un messaggio criptico, Ryo e il socio Hideyuki (Masanobu Ando) partono alla ricerca di Kurumi (Asuka Hanamura), una famosa cosplayer. Quando Hideyuki è tragicamente assassinato durante le indagini, la sorella Kaori (Misato Morita) esige risposte sulla sua prematura scomparsa. Da qui in poi prende vita sullo schermo una girandola di avventure, tra inseguimenti e combattimenti, spesso e volentieri senza alcun senso logico.
È una misteriosa droga, la “Polvere degli angeli”, all’origine dei violenti incidenti che affliggono la città seminando morte e sofferenza.
Il protagonista Ryo alterna momenti da Don Giovanni impertinente a quelli di lucidità e serietà. Accanto a lui l’acerba e immatura Kaori che più che aiutare nella ricerca della verità sembra creare ulteriori problemi.
“City Hunter” è un film caotico, con una narrazione poco lineare e incisiva: è davvero impossibile farsi assorbire dalla storia perché troppo repentini i cambi di registro cinematografico. Prevedibile nello svolgimento è un live action che non rapisce e che quando cerca di andare in profondità o regalare maggiore introspezione fallisce.
Il regista cerca di trasporre sullo schermo le caratteristiche che hanno reso il manga così famoso, ovvero il mix tra adrenalina e ironia demenziale, ma il risultato è privo di ritmo e complessità di narrazione.
Il film cerca di ricalcare la fonte fumettistica ma lo fa in modo embrionale, non riuscendo a suscitare alcuna emozione e finendo con il diventare un’opera dal carattere soporifero e ugualmente caotico.