“Aspettando Re Lear” di Alessandro Preziosi al Teatro Quirino: la recensione
Alessandro Preziosi calca le assi del Teatro Quirino con “Aspettando Re Lear”, pièce di cui cura anche la regia in una versione contemporanea della tragedia di William Shakespeare, scritta nel 1605 – 1606.
Lo spettacolo si concentra totalmente sul rapporto padri – figli, nello specifico sul rapporto di Re Lear con le tre figlie Goneril, Regan e Cordelia e su quello del conte di Gloucester con i suoi due figli Edgar ed Edmund.
Re Lear decide di abdicare e dividere il suo regno fra le sue tre figlie. Chiede loro di enunciare il loro amore per lui, in una gara di vanità senile in cui ogni figlia riceverà i territori in proporzione all’amore che sembra dimostrargli. La più giovane, Cordelia (Arianna Primavera), si rifiuta di partecipare e per tale motivo viene messa al bando. Cordelia è l’unica delle tre a comprendere come l’amore non possa ridursi a futili parole per un’eredità. Il conte Kent (Roberto Manzi), che ha preso le difese di Cordelia, comprendendo la veridicità della fanciulla, viene anch’egli messo al bando, per tornare travestito da Caio, un servo che vuole proteggere il re.
Le due figlie, inizialmente benvolute dal padre e uniche beneficiare dell’eredità, diventano sue nemiche quando emerge la loro vera natura dedita all’inganno e alla malevolenza.
Nello stesso frangente il conte di Glougester (Nando Paone) vive ugual dramma con i suoi due figli Edmund (Valerio Ameli) ed Edgar. Edmund calunnia il fratellastro, nato al di fuori del matrimonio, accusandolo di voler assassinare il genitore, costringendolo all’esilio e a fingersi Tom, il pazzo di Bedlam.
Sulla scena osserviamo due padri, due uomini fallaci, deboli, in balia dell’amore filiale che sembra condurli alla follia.
La regia di Alessandro Preziosi, qui nel ruolo di un Re Lear affaticato, in balia della follia, in bilico costante tra la vanità e la verità, si avvale della opere del maestro Michelangelo Pistoletto.
Le musiche di Giacomo Vezzani seguono tutto il percorso di tensione e pathos, la discesa nella follia.
La regia è curata, la scelta linguistica a tratti complessa, così come è macchinoso, talune volte, comprendere quale personaggio è sulla scena.
È un’opera che presuppone una visione “attenta”, pur se la storia raccontata, infine, è piuttosto semplice.
Ad accompagnare nei suoi passi malfermi Re Lear l’ombra di un matto, tale definito del re: proiezione della sua mente? Pensiero recondito? Verità che vuole squarciare il velo di infamia e bugia?
Alessandro Preziosi si muove sulla scena con maestria, regalando al pubblico una buona prova attoriale, così come tutti gli interpreti.
A lasciarmi, tuttavia, perplessa è la sua fine: viene meno la dimensione tragica per “condire” lo spettacolo di una positività che non è necessaria e che rischia di vanificare tutta la pièce, privando il pubblico della scena finale, la più tragica dell’intera opera.