“Adelaida” di Adrián N. Bravi: la recensione

Adelaida

“Il suo modo di resistere fu questo, uscire dal paese e mettersi in salvo. Non lo fece per abbandonare il suo passato, tutt’altro, le ferite che le aveva inflitto la storia le portava tutte addosso, stava solo cercando di ripartire da quella lacerazione. Non aveva alternative. Aveva bisogno di impastarsi le mani, di sporcarsi con la creta, di dare corpo ai fantasmi che la stavano soffocando.”

“Adelaida” di Adrián N. Bravi, edito da Nutrimenti, è un romanzo complesso perché tortuosa è la storia della sua protagonista. La complessità non risiede nella lettura che, al contrario, scorre veloce ma nella narrazione che abbraccia la storia politica e sociale dell’Argentina del secolo scorso.

L’opera, candidata al Premio Strega 2024, racconta la storia di Adelaida Gigli, figura affascinante e dalla vita complessa e dolorosa nell’Argentina rivoluzionaria.

Il suo autore ripercorre le tappe di vita di questa donna eccezionale e lo fa con veridicità perché della protagonista è diventato confidente quando la stessa, costretta a scappare dalla sua terra, si è rifugiata a Recanati.

Adrián N. Bravi ha conosciuto Adelaida all’età di 61 anni, nel 1988. La donna modella le sue opere in ceramica, intrise di sofferenza e storia, di ricordo e di amore.

Una madre orfana quanto forti può avere le mani per modellare l’arte e farla diventare narrazione senza soccombere al dolore e annientarsi?

Adelaida è una donna forte ed ugualmente fragile, costretta a “ricostruirsi” per continuare a vivere.

“Quelle vite spezzate ora sono nelle tue mani, nei tuoi ricordi, nelle pieghe della creta che modellerai e nei colori dei dipinti che farai, per te stessa ma anche per tutti loro.”

Le dittature sono state causa del suo moto perpetuo: prima in Italia durante il fascismo nel 1931 che costrinse la famiglia a scappare via da Recanati e poi il rimpatrio dal Venezuela in Argentina nel 1961 quando la giunta del Presidente Ròmulo Betancourt punisce lei e suo marito per avere aderito alla Rivoluzione cubana e successivamente la dittatura in Argentina che la obbliga all’esilio, dopo l’uccisione dei suoi due figli Mini e Lorenzo Ismael.

Adelaida è dipinta nel libro come una donna “vorace”, in grado di vivere pienamente il suo tempo, di amare e soffrire con passione.

“Affascinante come Jeanne Moreau, piena di spirito come Wisława Szymborska e appassionata delle sigarette come Ingeborg Bachmann, Ade­laida alla fine degli anni Quaranta è a Buenos Aires e si tuffa nella vita politica e letteraria della città. Insieme al marito David Viñas e ad altri intellettuali, fonda la rivista Contorno, destinata a diventare un punto di riferimento per l’Argentina degli anni Cinquanta, una esperienza dal basso e politicamente schierata con le classi più indigenti, in contrasto con la ricca e altolocata Sur di Victoria Ocampo.”

Adelaida diventa madre di Mini e Lorenzo Ismael, due giovani dal destino avverso, entrambi ‘desaparecidos’, lei nel 1976, lui nel 1980. 

La donna, pur senza essere una militante, nel 1968 si avvicina al Pcr (Partido Comunista Revolucionario) e negli stessi anni inizia a frequentare il Flh (Frente Liberacion Homosexual). La sua casa, non si sa se a sua insaputa, diventa arsenale delle armi di Mini e dei suoi compagni. L’Argentina è territorio ostile, dittatura ad opera del generale Juan Carlos Onganía: un lungo periodo di censura, restrizioni della libertà di stampa e di “castrazione del pensiero”.

Nel 1973 l’arrivo di Perón al potere porta all’istituzione della Triple A (Alianza Anticomunista Argentina) e a una repressione ancora più forte, iniziano i sequestri di persona, le scomparse e gli omicidi. L’obiettivo è annientare i militanti di sinistra e disseminare terrore.

Il 10 agosto 1976 Carlos Goldenberg, compagno di Mini con cui ha la figlia Inès, viene ucciso e lo stesso mese, il 29 agosto, Mini scompare. Anche Lorenzo Ismael scompare nel 1980: viene rapito e rinchiuso in un centro clandestino di detenzione; la sua vita termina il fatidico giorno in cui lo caricano sopra un camion, lo portano in un aeroporto, lo fanno salire su un aereo, lo denudano e lo fanno precipitare nel vuoto.

“A quel punto i sogni di salvezza iniziarono a frantumarsi uno alla volta. Non riusciva ad accettare con rassegnazione che tutti i suoi cari fossero stati costretti all’esilio se non torturati o uccisi, mentre lei era ancora in vita, come un’ultima superstite insieme ai loro sogni e alle loro speranze tradite. Si sentiva spesso su una soglia tra la vita e la morte, senza sapere quale sarebbe stato il suo destino. Forse fu questa incertezza a darle la forza di partire e di mettersi in salvo.”

Adelaida fugge.

“Ha superato da poco la soglia dei cinquanta. Ha i lineamenti fini, l’andatura elegante, le labbra con il rossetto, l’aria austera e due occhiaie profonde che appesantiscono il viso […] Adelaida sa che adesso non è più in pericolo di vita, ma non sa cosa l’attende nella nuova dimora, se potrà rimanere in Italia o se sarà costretta a ripartire di nuovo, “Quante volte devo nascere ancora?” si chiede.”

“La sua vita, come la sua morte, è stata il risultato della sua storia, un riflesso del suo passato […] Ereditò i dolori della storia portandoli con sé”.

Adelaida è la storia di una donna straordinaria, della caparbietà nel sopravvivere, del coraggio di ricominciare al di là di ogni passato, presente e futuro.

“Le parole interrotte

i sentieri scomparsi

nulla può fermare la mano

che incide la storia.”

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