Black Mirror – Bandersnatch: un’illusoria libertà và in scena. Provare per credere!
Stefan Butler (Fionn Whitehead) è un ragazzo che ha perso la mamma da piccolo, introverso, ama i videogiochi, ama giocarci e si diverte nel programmarli. Un giorno decide di creare un nuovo videogioco ispirato al libro “Bandersnatch” e gioisce quando la Tuckersoft decide di credere nel suo progetto e di sponsorizzarlo.
Sembra una semplice storia “nerd” che ha le sue radici in un’infanzia difficile e che ha un lieto fine: Stefan ottiene un contratto e molto probabilmente vedrà il SUO videogioco in tutti i negozi della città.
Quello che rende unica nel suo genere questa puntata di Natale di Black Mirror è la sua interattività. Lo spettatore decide quali cereali deve mangiare Stefan, quale musica deve ascoltare, quante volte deve andare dalla psicologa. Decide se farlo suicidare, se trasformarlo in un omicida, se fargli credere di essere controllato dai familiari, da sconosciuti dal futuro o di essere completamente matto e basta.
Charlie Brooker con questo episodio speciale ha sicuramente fatto il primo passo verso un nuovo mondo dell’intrattenimento. L’idea intriga e spaventa contemporaneamente. Non ho potuto fare a meno di immaginarci tutti seduti al cinema con degli occhiali scuri enormi e un telecomando in mano con il quale scegliere autonomamente di un film il finale che più ci aggrada in quel momento: il più lieto o il più triste? Finale aperto o quello splatter? Una simile modalità di fruizione potrebbe condurre a livello micro ad una completa deresponsabilizzazione del regista, a quello macro ad un aumento della desocializzazione umana.
Avevo letto qualche spoiler prima di vedere la puntata e la mia curiosità ha prevalso: poiché non volevo rinunciare ad una parte della storia – che per me resta l’elemento più importante, sempre! – ho visto la puntata insieme ad altri, in contemporanea, su dispositivi diversi. Ognuno ha scelto liberamente cosa far fare al protagonista ed è successo veramente di tutto! La mia esperienza è stata breve, logicamente sensata, molto scarna di informazioni sul passato di Stefan e ha suscitato in me prima tanta inquietudine, poi solo noia. E per gli altri affianco a me? Com’è andata? Loro hanno sperimentato, invece, tanti “vicoli cechi”, hanno scoperto tutto sul passato di Stefan, esplorato almeno tre finali diversi della storia e…si sono divertiti! Divertiti a scegliere appositamente le opzioni più strane. L’estro, la fantasia dei produttori e l’assurdità generale li hanno fatti divertire.
Nel mio caso, invece, durante tutto l’episodio, l’unica domanda che ritornava in modo assillante era: “Chi controlla chi?”. E ti senti “preda” e “carnefice” e “vittima”. Sempre imprigionato in una sorta di “matriosca tecnologica”: il protagonista crea un gioco basato sul libero arbitrio che libero arbitrio non è mai. Noi spettatori “sguazziamo” gioiosi nel nostro libero arbitrio che l’interattività del racconto ci illude di avere per poi “sbattere il muso” contro mille muri alti e freddi ogni volta che non stiamo andando dove Charlie Brooker e David Slade vogliono che andiamo.
Ma non finisce qui.
Black Mirror è una serie nata un po’ con la funzione “didattica” di farti letteralmente vedere tutti i finali più oscuri e “malati” della “love story” tra l’uomo e la tecnologia. Quando poi, però, da fruitori che pensano e guardano con senso critico diventiamo “burattini” dello sviluppo perverso della combo “uomo/tecnologia”, siamo caduti davvero in trappola. E quale prova più schiacciante di questa aspettiamo per capire che il cambiamento radicale è già in corso e che dovremmo – almeno – rifletterci su?