Bellezza e sofferenza: la storia dei piedi di loto
Si chiama Loto d’oro ma non si riferisce affatto all’omonimo fiore. In realtà è un’antica usanza cinese abolita ufficialmente nel 1911 ma che ha continuato a prosperare fino all’avvento della Repubblica Popolare nel 1949: si tratta dei cosiddetti «piedi fasciati», più conosciuti appunto con il nome «piedi di loto».
Tale tradizione riguardava in particolare le ragazze e veniva praticata per attirare l’attenzione degli uomini e, così facendo, contrarre un buon matrimonio. Il sesso maschile, infatti, era molto affascinato dai «piedi di loto» per la loro forma piccola simboleggiante la bellezza e soprattutto per l’andatura fluttuante che facevano assumere alle donne. Inoltre, la cura della fasciatura era molto importante perché costituiva una vera e propria dote e garantiva che la futura sposa era di buona famiglia e sarebbe stata docile e servizievole nei confronti del futuro marito. Tuttavia, tale pratica non risparmiava dolori e sofferenze alle giovani ragazze e basta dare un’occhiata su internet alle immagini delle ultime donne con i piedi di loto per rendersene conto.
Durante il processo, che avveniva tra i 4 e i 9 anni di età, le quattro dita più piccole (alluce escluso) venivano piegate verso la pianta del piede e molte volte la fasciatura era così stretta che le loro ossa si rompevano oppure si correva il rischio di contrarre infezioni, setticemia o cancrena. Così facendo i piedi si deformavano e assumevano una forma arcuata e appuntita, impedendo alle ragazze cinesi di lavorare e, soprattutto, di camminare.
La scrittrice Bamboo Hirst descrive così la fasciatura dei piedi nel suo libro “Figlie della Cina”: «un tormento inflitto alle ragazze di buona famiglia, alle ragazze ricche, le sole che potevano permettersi di camminare a passi minuscoli, di muoversi pochissimo in casa e fuori e di venire scortate e sorrette da una schiava dai ‘piedi lunghi’ quando era necessario percorrere una certa distanza». Proprio per questo motivo tale usanza si diffuse anche nelle famiglie contadine per trovare un marito ricco alle figlie e quindi una loro stabilità economica e sociale. Nonostante l’abolizione nel 1911, tale pratica continuò a perseverare per circa 50 anni.
Ecco un passaggio dell’autobiografia di Jung Chang nel “Cigni selvatici. Tre figlie della Cina” riguardante l’argomento: «A quei tempi quando una donna si sposava, la prima cosa che la famiglia dello sposo faceva era esaminarle i piedi. Si riteneva che i piedi grandi, cioè normali, fossero un disonore per la famiglia dello sposo. La suocera sollevava l’orlo della lunga gonna della sposa e, se i piedi erano lunghi più di una decina di centimetri, lo riabbassava di scatto con un gesto di ostentato disprezzo e si allontanava con sussiego, lasciando la sposa esposta agli sguardi critici degli invitati alle nozze, che le fissavano i piedi e manifestavano il loro disdegno borbottando insulti». Inoltre, sempre nel libro la Hirst afferma che, grazie alla fasciatura dei piedi della donna, «si raggiungeva il duplice scopo di limitarne ulteriormente la libertà e di accentuarne la fragilità, il languore, la mollezza del suo corpo, esercitando un maggior potere di seduzione sugli uomini che, per contrasto, vedevano risaltare la propria forza virile».
Alla fine, con la nascita della Repubblica Popolare Cinese, questa tradizione venne completamente abbandonata per il semplice fatto che, allo stesso modo degli uomini, anche le donne dovevano essere in grado di lavorare e contribuire quindi al benessere comune. A partire da quel momento, dunque, i «piedi di loto» non vennero più considerati un’usanza sacra ma una rappresentazione del potere aristocratico che doveva essere represso ad ogni costo. Insomma, oltre al danno anche la beffa per le donne dai piedi fasciati: prima cercate e venerate, poi perseguitate e disprezzate e, infine, isolate e dimenticate dalla loro stessa società. Significativa in questo senso è la testimonianza della storica Yang Yang riportata in un articolo del 9 febbraio 2010 su La Repubblica: «Mia madre ha dovuto nascondere i piedi fino a 12 anni, per non essere mutilata dai parenti. Poi li ha nascosti fino al 1959, per non farseli rispaccare dagli ispettori del governo. È la metafora della tragedia cinese. Prima di morire, nel 2005, era stata ridotta ad attrazione turistica». Di recente, la fotografa e antropologa Jo Farrell, per far sì che le storie e le vite degli ultimi «Gigli d’oro» non vengano dimenticate, ha dato inizio al progetto (poi diventato anche un libro) “Living History: Bound Feet women of China” «Voglio raccontare le storie di queste incredibili donne attraverso le mie foto e le mie parole» ha dichiarato la Farrell, aggiungendo che «fin dal principio del progetto ho provato un irrefrenabile sentimento di empatia nei confronti di queste donne. Sono state estremamente coraggiose, e le loro storie dovrebbero essere raccontate alle generazioni future». Il progetto è tuttora in corso e ogni anno la fotografa, che vive a Hong Kong, si reca a trovare le ultime sopravvissute. Queste ultime, nonostante l’età, soffrono ancora le conseguenze dei loro piedi di loto:
«Su Xi Rong era la donna più bella del suo villaggio. Gli uomini amavano particolarmente i suoi piedi minuscoli, legati con delle fasce strettissime che ne avevano impedito la crescita. Quando invecchiò, la donna smise di camminare: i suoi piedi minuscoli non ne reggevano più il peso»