Salvare l’Europa, Salvare il pianeta! Utopia di Gaël Giraud? No, dovremo fare una rivoluzione a 360°…
Può sembrare un ossimoro… Gaël Giraud, ora gesuita, era un banchiere.
Il suo Transizione Ecologica fa il paio con il testo di un altro autore, Stefano Liberti, “I signori del cibo”, assai interessante. Appartengono entrambi gli autori-pensatori alla corrente di un pensiero utopico (speranza non irrealizzabile!) permeato da dati concretissimi che offrono una visione del mondo opposta a quella imperante.
… Intervista immaginata con Gaël Giraud.
Si, il gesuita Gaël Giraud, capo economista dell’Agence Française de Développement, direttore del CNRS (Centra national de la recherche scientifique). È l’autore di un testo rivoluzionario. Il suo libro, “Transizione ecologica”, è stato presentato nel maggio 2016 in Italia.
Può sembrare un ossimoro… Gaël Giraud, ora gesuita, era un banchiere.
Il suo Transizione Ecologica fa il paio con il testo di un altro autore, Stefano Liberti, “I signori del cibo”, assai interessante. Appartengono entrambi gli autori-pensatori alla corrente di un pensiero utopico (speranza non irrealizzabile!) permeato da dati concretissimi che offrono una visione del mondo opposta a quella imperante.
Un processo lento, ostico, difficile, un percorso di resistenze da rompere. È vero che the money muove il mondo, ma è anche vero che le rivoluzioni nascono dalle idee e ne basta una a condurci verso un mondo migliore di questa tana che ci siamo scavati sotto e tutt’intorno.
Chi vive di rendita opporrà veti, chi pensa di avere tenta di fermare la corsa, e la cosa assurda è che saranno quelli più istruiti, quelli che hanno da perdere a non voler cambiare, ma premono i giovani senza futuro, premono le donne per cui il femminismo si è fermato al divorzio, premono i poveri e i più poveri dei poveri. E la quantità avrà la meglio sulle minoranze abbienti e non illuminate.
Non sono riuscita a partecipare alla presentazione del suo libro.
L’ho letto e per questa intervista immaginata mi servirò del testo di Gaël Giraud «Transizione ecologica”, in mio possesso. Nonché di materiale cercato in rete e ovviamente citato.
Passo alla prima domanda che sembra ingenua e non lo è solo perché trova la sua risposta “concreta”, come non ci si aspetterebbe da un prete gesuita. O forse, sì, proprio da un gesuita ce la si aspetterebbe.
Come si è spinto il capitalismo a tali livelli di spietatezza?
Se durante la guerra fredda lo spettro del comunismo funzionava come contraltare al capitalismo al di qua della cortina di ferro, caduto il Muro di Berlino nel 1989 è come se si fosse cancellata la minaccia di un’alternativa al capitalismo.
Come se il capitalismo avesse alzato un cartello di monopolio assoluto sulla vita e sulla morte delle economie statali.
L’URSS era solo un totalitarismo burocratico, piuttosto che alternativa reale, ma la sua semplice esistenza obbligava i Paesi occidentali a un atteggiamento ragionevole.
Dagli anni ’90, caduto il regime sovietico il liberismo integrale e la finanziarizzazione della nostra società hanno avuto via facile
In Gaël Giraud c’è un trait d’union tra quello che era e quello che scrive: la necessità di un cambiamento di pensiero che sia rivolto alla vita della comunità umana. Ma c’è una continuità tra la sua conoscenza del mondo della finanza e il suo rifiuto a perpetrare il crimine del capitalismo finanziarizzato.
La continuità sta in una nuova rivoluzione come quella copernicana, che riconsideri la proprietà privata per dare spazio ai cosiddetti commons, i beni comuni, ossia i beni che devono appartenere alla società civile nel suo insieme. Le risorse naturali: l’ambiente, gli ecosistemi, la biodiversità…
Cosa sono i commons nella transizione ecologica? Che importanza hanno per la sopravvivenza della democrazia?
I latini, nel diritto romano, li definivano res medius: ciò che non appartiene a nessuno.
Sarà difficile, per la società civile, riappropriarsi dei beni comuni in un mondo che il neo- liberismo vorrebbe privatizzare tutto.
Ma dovrà essere la prima necessità, quella di “ricreare uno spazio in cui esistano i beni privati, i beni pubblici gestiti dallo Stato e i beni comuni gestiti da istituzioni che non sono né pubbliche né private”.
La sua esperienza attuale come gesuita è nata tra i bambini di strada in Ciad, per due anni, insegnando matematica e fisica in un istituto gesuita.
C’è una possibilità? C’è speranza di uno sviluppo sostenibile?
Per uno sviluppo sostenibile bisogna capovolgere il modus pensandi del capitalismo finanziarizzato.
Partire dalla crisi energetica, o meglio dalla crisi climatica in cui stiamo affondando e risollevare le priorità dell’ambiente a livello uno nella classifica delle cose da fare per risolvere i problemi della nostra crisi mondiale.
In fondo è un andare a ritroso, dagli effetti, causati dalla dissennatezza umana nell’utilizzo delle fonti primarie di vita (beni comuni o commons!): aria, acqua, terra, sottosuolo, per tagliare le cause, una serie di eccessi dovuti alla sete di guadagno.
Non è semplice da seguire il pensiero economico di cui scopre il velo mettendo in luce l’avidità e l’ingordigia dei pochi che continuano a giocare la loro partita del profitto col segno+ all’infinito.
Ma se si ha presente il default delle banche Usa del 2007-2008, anche chi non mastica di economia finanziaria capisce che il capitale senza freni parla un’unica lingua, quella della depredatio senza se e senza ma.
L’assunto da cui parte Giraud è dato dai problemi immediati cui metter mano.
Quali sono i problemi immediati e quali le possibili soluzioni?
Scarsezza di risorse energetiche, necessità di approvvigionamenti di energia alternativi, mancanza di politiche economiche comuni per bypassare il petrolio. Su tutto pesa un sistema finanziario che è “il vitello d’oro dei nostri tempi. Ci affascina, ma non ci sfama“.
Abbiamo inondato della nostra economia il mondo e siamo rimasti intrappolati in un meccanismo che si è avvitato su se stesso.
Come uscire dalla dipendenza dal petrolio e affrontare gli sconvolgenti cambiamenti climatici, secondo Giraud?
Il mutamento per essere propositivo deve chiamarsi nei prossimi anni, transizione energetica, con alcune azioni importanti (pagg. 107 e ss):
- Trasformare il sistema mobilità per renderlo sostenibile e carbon-free, migliorando l’allestimento di trasporti pubblici, macchine elettriche, fino quasi ad annullare i trasporti aerei.
- Definire la riqualificazione energetica degli edifici, che le nuove tecnologie edilizie permettono al fine di ridurre energia da consumare per raffreddamento e riscaldamento.
- Puntare sulle rinnovabili e spezzare la dipendenza da fossili. E tasse più alte per chi inquina.
La transizione ecologica verso una società carbon free di fatto viene impedita dai tagli alla spesa della politica d’austerity. Se si risparmierà qualche miliardo oggi, ce ne vorranno tanti di più per riparare i danni causati dalle catastrofi ambientali che non vogliamo prevenire.
Il calo del petrolio sembra accelerare la via verso energie alternative o no?!
Eppure è proprio questo il momento in cui bisognerebbe aumentare le imposte sui prodotti petroliferi, in modo da spingere verso un consumo virtuoso. Ma nessuno dei governi europei prende provvedimenti in tal direzione, per mero calcolo politico.
Dal lato dell’offerta, invece, la transizione ecologica viene cavalcata solo per mera convenienza, giacché molti giacimenti non sono più redditizi: molti siti di fracking hanno chiuso negli Stati Uniti in un anno.
E i nostri governi invece di prepararsi entro il prossimo decennio di calo della offerta di petrolio e approfittarne per spingere verso la transizione ecologica, sono fermi come se stessero aspettando che il petrolio si riprenda (pag. 97).
Abbiamo imboccato un tunnel che non ci fa vedere al di là dei nostri convincimenti stile neo-liberistici?
È tutto connesso. Senza investimenti immediati in infrastrutture verdi per tentare di ridurre e adattarsi alle drammatiche conseguenze della rottura della regola climatica (che porta penuria d’acqua potabile, inondazioni delle zone coltivate), i paesi del Sud si troveranno a fronteggiare migrazioni fiume e conseguenti disastri umanitari per decenni.
Per ora sono centinaia di migliaia i migranti che scappano in Europa, la cui migrazione risale alla siccità siriana del 2007-2010. Se aspettiamo ancora a non prevenire, diventeranno milioni. In contemporanea, I paesi del Nord, invece, senza investimenti, per effetto della cura di austerità sulla deflazione attuale non riusciranno a uscire dalla trappola.
Come dobbiamo sostenere questo cambio di passo?
Il finanziamento di tale transizione deve potersi attuare attraverso la creazione di moneta da parte della Banca Centrale Europea, che comporterebbe la rinegoziazione del trattato di Maastricht sotto la sorveglianza di un’Unione politica europea.
Sembra un progetto quasi irrealizzabile alla luce degli appetiti attuali delle politiche europee. E, soprattutto, di là da venire, considerata l’incompletezza a tutt’oggi di una vera unione europea, che si è fermata alla sola unità monetaria con i guasti che sono sotto i nostri occhi…
… Eppure, si dovrà approntare la transizione ecologica. Temo che non si abbia scelta. Se si riuscirà ad innescarla “se ne parlerà nei libri di storia; se non si riesce, max due generazioni, e se ne parlerà in termini ben diversi!” (pag. 104).
Se non si cambia “civiltà” in questa generazione, le prossime saranno costrette a farlo incalzate dai guai.
“La transizione ecologica sta ai prossimi decenni come l’invenzione della stampa sta al XV secolo o la rivoluzione industriale al secolo XIX” (pag.105).
Essa significherà riportare al primo posto la summa dei beni comuni (commons), dimenticati dall’homo oeconomicus e resi obsoleti come l’esistenza dell’homo civicus.
Per essa il credito sarà considerato un mezzo e non il fine per realizzare riforme a vantaggio di tutti e benefiche per l’ambiente.
Possiamo dire che il capitale ha reso merci le persone, le cose e i servizi, finanziarizzando anche i beni alimentari, e quindi si può affermare che c’è un abbraccio mortale in cui colano a picco mercati finanziari e produzioni.
I prodromi della crisi?
Si pensi che dal 2001 al 2008, la crisi è iniziata dalla bolla immobiliare in Usa. Prestiti ipotecari concessi quasi al 100% senza verifica di solvibilità e garantiti dal valore degli immobili che sarebbe automaticamente cresciuto anno per anno. Ci fu il gonfiarsi della bolla e l’indebitamento infinito, anche per interessi altissimi, delle famiglie di ceto non abbiente o precario.
Questa pseudo sicurezza di calo mai dei valori immobiliari è stata decretata dalle miopi previsioni della Federal Reserve come dalle parole di Ben Bernanke, suo responsabile nel 2005 (pag. 22).
Quindi è chiaro che i mercati finanziari la fanno da padrone all’interno delle economie di mercato dei paesi. Basta veramente un fruscio di ala di farfalla in borsa, una previsione miope su un bene piazzato in borsa per provocare terremoti finanziari ovunque.
È stata una crisi di sovrapproduzione o finanziaria?
Siamo nel 2016, bene, otto anni fa scoppiava la più grave crisi finanziaria finora conosciuta, e l’economia mondiale non ha ritrovato ancora una situazione di equilibrio.
La Cina in sovrapproduzione continua di beni non trova mercati sostitutivi, anche se sa benissimo che l’Occidente non può più consumare a credito i beni industriali che essa produce.
Il Brasile è in bilico. Il Sud Europa è in deflazione avvitata da cui non sa come uscire.
Le misure di austerità di bilancio imposte dall’Europa giocano ad aggravare la depressione del Sud provocando l’aumento del rapporto debito pubblico/Pil.
C’è la vecchia legge di economia neoliberista sotto la crisi del debito pubblico?
Domanda con risposta che potrebbe essere positiva.
Le misure d’austerità di fatto non fanno altro che distogliere l’attenzione dal vero problema europeo: l’eccesso di indebitamento privato e la deregolamentazione finanziaria.
Il progetto europeo di costruzione di una vera Unione politica ed economica arranca dal momento in cui è stata fissata la moneta europea comune.
Da quel momento in poi… è tutto in stallo. E si fa avanti senza sosta una vera e propria privatizzazione antidemocratica del sistema.
La Banca centrale europea (Bce), per esempio, non è indipendente (pag. 146), anzi si rivela essere, prima di ogni altra cosa, un modo di sottrarre dalle mani degli Stati il potere sovrano di creazione monetaria, per meglio affidarlo al settore bancario privato.
E la Bce nel luglio del 2015, quando ha bloccato l’approvvigionamento di liquidità alle banche greche a un passo dal referendum di Tsipras, ha agito non tanto per vigilare sulla stabilità finanziaria quanto sulla stabilità politica.
La politica finanziaria della Bce è quella di garantire l’interesse dei paesi creditori, nella figura delle loro banche e di bloccare il tentativo di rinegoziazione dei trattati europei cosa che aveva provato a fare la Grecia, mentre la Germania di Schaüble si autorizza da sé a modificarne l’interpretazione come meglio le aggrada.
Un’operazione di colonizzazione, né più né meno, dunque, attraverso i meccanismi finanziari?
Si, il governo di Tsipras non è caduto, perché ha permesso la riduzione della Grecia allo stato di colonia (pag.15).
Nel caso della Grecia, l’austerità imposta per “far piacere” ai mercati (in modo che permettano ad Atene di avere nuovi prestiti) ha causato una perdita del Pil del 25% in cinque anni, l’equivalente di una guerra civile.
Il Parlamento greco non può votare una legge contraria a interpretare i Trattati come austerità e l’Europa del Nord ne saccheggia i beni pubblici.
Di sanare la sua economia non se ne parla: sarà sempre meno in grado di rimborsare il suo debito pubblico fintantoché la sua economia continuerà a essere salassata (pag.15).
Se le migliaia di miliardi di euro a disposizione delle banche per salvarle, fossero state disposte a favore della nazione Grecia, avrebbero invece permesso da lunga data di risolvere il problema greco.
Dobbiamo bypassare i parametri di Maastricht sul tetto alla spesa pubblica e scardinare il limite senza fondamento scientifico del 3% del decifit (neppure la Germania ha un debito inferiore al 60% del Pil).
Dobbiamo sostituire un’utopia incarnata dalla Troika e dalle banche con un’altra utopia sostenibile, questa sì, che sia un vero progetto di società, avendo il coraggio di mettere in prigione i banchieri fraudolenti e obbligando gli altri a lavorare per l’interesse generale.
La manovra di azzittire il governo greco ha funzionato come deterrente per altri paesi che vogliono modificare la politica dell’austerity?
Sicuramente davanti a questi avvenimenti, chi oserà ancora opporsi all’ordoliberalismo europeo?
Il Portogallo non ha forza e influenza sulle economie dei Paesi del Nord perché questi ultimi si vedano costretti a negoziare con lei.
Anche la Spagna ambigua nella sua posizione, si troverà a non resistere se la deflazione che colpisce il sud del Paese finirà per avere la meglio sulla vitalità della Catalogna e dei Paesi Baschi (pag.16).
L’austerità dei conti è una manovra da portare avanti in caso di deflazione?
No, perché non migliora la salute di un’economia, infatti il Pil scende più velocemente del debito così che il rapporto debito/Pil continua ad aumentare.
La storia della Germania dovrebbe averci insegnato qualcosa. L’austerity è stata già sperimentata nel 1930 quando la Repubblica di Weimar sembrava in deflazione. L’allora politica di tagli portò Hitler al potere tre anni dopo.
Uno scenario che potrebbe perfettamente ripetersi in Europa. Quando si annega nella deflazione, è molto difficile uscire. Di conseguenza le classi medie disperano e finiscono per eleggere qualunque populista che prometta un domani migliore. Guardate cosa succede in Austria e Francia.
E aggiungerei anche in Italia… (NdA).
C’è un «piano B» perché il Sud Europa possa uscire dall’impasse?
Italia e Francia ancora hanno la forza per opporsi alla propria colonizzazione.
Un piano B esiste. È il «piano B» che Yanis Varoufakis non ha potuto porre in atto ad Atene e che può essere concretizzato a Roma o a Parigi (pag. 16).
A tal fine, è «sufficiente» che ognuno dei due Paesi metta in piedi uno stretto controllo dei capitali alle frontiere e batta in proprio la moneta che la Bce minaccerà di non distribuire alle rispettive banche (pag. 16).
Sta suggerendo, anzi affermando che i governi italiano e francese ritornino sovrani e dunque si riapproprino della loro autorità monetaria e che le banche possano fallire?
Sì, le nostre banche potrebbero fallire… Questo passaggio metterebbe la situazione in chiaro: più d’una di loro non ha sanato i propri bilanci dopo la crisi dei subprime.
Non fanno altro che riprestare a tassi di interesse positivi soldi agli Stati ex sovrani e prestano ciò che a loro l’Europa dà in prestito gratuitamente.
La nazionalizzazione delle banche, dunque, se falliscono?
Se falliscono non rimarrà altro che nazionalizzarle. In Islanda l’hanno fatto. Almeno si potrà rifiutare di pagare i debiti bancari ai Paesi del Nord, finché questi non rinegozieranno gli accordi in modo onesto (pag. 16- 170).
Ritorniamo alla ripresa della sovranità monetaria dei paesi…
Bisognerebbe che Francia e Italia infrangessero il tabù dello stamparsi la propria moneta. Non significherebbe uscire per forza dall’area dell’euro (cosa significa giuridicamente lo diranno l’inghilterra e l’Europa..in progress), ma si potrebbe tentare così di sopravvivere in un’eurozona in cui la Bce utilizza l’asfissia monetaria per far cadere i governi non graditi alla sfera finanziaria privata (pag.16-17).
Quale sarebbe dunque il «piano» del Nord?
Forse questa operazione basterebbe lanciarla come sfida da parte di uno dei due nostri Paesi, basterebbe solo questo.
I Paesi del nord, Germania compresa, si arroccherebbero, abbandonando l’euro, in una «zona marco» al riparo da ogni dibattito politico.
Del resto se ne parla sottovoce del piano B dei Paesi del Nord, tra le banche centrali dei Paesi in questione… ma metterlo in atto darebbe loro la responsabilità della rottura del patto europeo (pag. 157).
Sicuramente se uno dei nostri Paesi minacciasse l’operazione sovranità monetaria, chiudendo le frontiere ai capitali e battendo moneta sovrana, si può scommettere che sarebbero spinti obtorto collo attorno a quel tavolo di negoziato politico che ora declinano.
Allora, sovranità monetaria e chiusura controllata dei capitali finanziari per ridiscutere e forse salvare il progetto europeo? Anche solo agitandole come minaccia!?
Sì, l’obiettivo è salvare il progetto europeo.
Attualmente la politica monetaria dell’eurozona non fa altro che affamare il sud dei paesi europei, poi arriverà la decadenza delle economie del Nord e si riaccenderanno gli odi tra gli europei.
In Italia e Francia, attualmente, dopo le voci di dissenso sull’eurozona, le cose si sono assopite. Dove sono le difficoltà?
Tutta la difficoltà sta nel trovare un governo capace di un simile coraggio politico.
In altri tempi in Italia, ci sono stati alcuni attacchi alla politica europea, poi tutto si è riassorbito in fondo a seguire la politica tayloristica del neo liberismo, smontando “il mercato del lavoro italiano, privatizzandolo”.
In Francia, c’è da tenere a bada il lascito dei socialdemocratici francesi che hanno modellato l’architettura mondiale del neoliberismo: Delors, Lamy, Camdessus, Strauss-Kahn…
In fondo l’Fmi, l’Ocse, il Wto e l’Unione Europea sono stati tutti pensati da questi «socialisti» come strumenti a servizio di una privatizzazione «universale» (pag.18).
È difficile pensare che l’Unione Europea del Trattato di Maastricht, ultimo bastione degli apprendisti stregoni degli anni Ottanta e Novanta possa essere messa sotto indagine e poi ricostruita dagli eredi stessi di coloro che l’hanno edificata (pag. 18).
Operazione disperata, dunque, nel fine anni 2000! Dove trovare Energia per un’altra Europa?
La tesi di questo libro è che la transizione energetica e ecologica è il grande progetto politico, economico, sociale, spirituale… capace di ispirare ai democratici italiani e francesi il coraggio di dire no a questa Europa.
L’energia è da recuperare nella enciclica Laudato si’, e si rivolge non solo ai cattolici ma anche a tutte le donne e gli uomini di buona volontà, a non sostenere più la follia antidemocratica di istituzioni europee che disprezzano la loro periferia tanto quanto disprezzano l’ecosistema planetario (pag. 18).
Lei pensa ai grandi movimenti di coscienza che hanno modificato il corso dei tempi, più di una volta?
I cattolici dovranno dunque fare fronte comune con le forze politiche democratiche che oseranno prendere l’iniziativa di fare dell’Europa la pioniera di una società decarbonizzata e attenta ai più poveri. Per salvaguardare la nostra «casa comune», la Terra. E in modo speciale l’ala europea di questa bella casa (pag.18).
Il peso politico delle banche si ridurrebbe con la netta separazione delle banche commerciali da quelle d’affari?
Oggi sopravvivono solo grazie ai prestiti a tassi negativi della Bce. Uno shock come quello del 2008 farebbe fallire molte banche europee di sistema con un costo di oltre mille miliardi di euro di perdite sul Pil per 2-3 anni (pag. 220 e ss.).
Il rifiuto della Germania nel 2015 a sostenere il progetto di garanzia europea dei depositi è stato incauto, perché nessun paese è in grado di garantire i depositi dei suoi cittadini. Neppure la Germania.
Solo l’Europa intera potrebbe aiutare un Paese il cui sistema bancario salta. E’ successo in Irlanda e in Islanda. Come è possibile far correre un rischio del genere a delle economie come Germania, Italia o Francia?
Come regolamentare il settore e perché è un tabù?
Abbastanza semplice, basterebbe qualche misura forte per rendere più ragionevole il mercato.
La separazione delle attività bancarie commerciali da quelle d’investimenti, togliendo a queste ultime la garanzia implicita dello Stato per lasciarla solo sui depositi (pag. 229).
La lobby bancaria è riuscita a bloccare il tentativo del commissario europeo, Michel Barnier, di fare passare una legge di separazione a livello europeo (pag. 167-168).
Negli anni Novanta sono state ideate le banche miste. Si sono affiancate alle attività tradizionali, credito e deposito, le attività speculative sui mercati finanziari.
Sono quelle banche che quando perdono in borsa si risucchiano i depositi dei cittadini.
E sono, per legge in Francia, Italia e altri paesi, da recuperare a cura dello Stato, che siamo noi. Il salvataggio delle banche viene fatto per tutelare i cittadini, ma è sulla comunità tutta che viene spalmato il debito.
Dall’Europa agli Usa, la nuova leadership in Usa l’ha meravigliata?
Non mi ha meravigliato. Quando i politici perdono di vista il ceto medio e quello popolare, questi senza confronto politico, perché non ci sono interlocutori per loro, danno spessore alla “pancia” e finiscono per eleggere chi promette anche quell’impossibile che almeno fa finta di parlare a loro nome e con loro.
Chi si sente escluso dai giochi non si riconosce nei partiti che ha conosciuto e non li vota più, scegliendo Marie Le Pen, Salvini, Farage.
Cosa pensa oggi dell’Europa?
Negli anni ‘70-’80 è diventato un progetto finanziario favorevole alle banche e non all’economia reale.
Le divisioni tra paesi del Nord e Paesi del Sud. Il deficit del sud Europa, investimenti solo a Nord. Il disequilibrio tra i paesi mediterranei indebitati e quelli del Nord Europa a cui si chiede di pagare i debiti del Sud.
La soluzione a questa cambiale sud (NdA) è stata peggiore del male: l’Austerity fatta pagare al sud come se abbassandogli il Pil un paese trovasse le risorse per ridurre il debito pubblico.
Il nord che vorrebbe abbandonare l’eurozona…
Non bisogna lasciare l’euro, ogni paese, fra cui la stessa Germania, diventerebbe troppo piccolo per resistere ai movimenti speculativi dei mercati del cambio internazionali.
Ci può essere una via d’uscita?
Proteggere la frontiera dell’eurozona (pagg. 240-250), mettendovi all’interno delle declinazioni nazionali dell’euro con variazioni per l’euro del Sud.
Ad esempio, se la Grecia resta nell’eurozona, per le transazioni deve poter usare variazioni nell’eurodracma.
Ci vorrebbe un tipo di euro per il Nord e uno per il Sud, molti economisti la pensano così. In Francia politici come Valery Giscard d’Estaing, uomo di destra, e Jean Pierre Chevenement, di sinistra, difendono questa posizione.
Gli unici contrari a questa teoria sono le banche: se ci fossero variazioni il loro debito crescerebbe perché si riverserebbe nella moneta dei loro finanziatori.
Il cambiamento deve essere graduale ma è importante realizzarlo, altrimenti nel giro di pochi anni tutti i paesi del Sud faranno la fine della Grecia.
Le migrazioni dai paesi terzi sono il problema o parte della soluzione?
Ancora siamo solo all’inizio. Per ora sono un problema. I cambiamenti climatici con desertificazione e scomparsa di acqua potabile hanno formato l’esercito di migranti per fame. Non è che l’inizio. Se solo si pensa che la siccità in Siria ha portato alla guerra civile fra il 2007 e il 2010. Senza acqua non si vive.
Al di là delle nuove generazioni che da qui al 2050 toccheranno quota 1mld di persone in Africa, se solo si immagina la riproducibilità di fenomeni di povertà e siccità simili in Africa, in Asia, come il Libano, ci ritroveremo due milioni di rifugiati in Europa.
Un piano Marshall per aiutare Libano, Giordania e Turchia. E poi c’è l’emergenza dei territori di Boko Haram che continua a reclutare gente e come le cavallette dove passa è povertà assicurata.
Soltanto con piani di austerità, in Europa, non si potrà assicurare continuità ad un eventuale necessario fondo per un piano Marshall n.2.
È necessario porvi riparo…
Per questo credo sia necessario dotarsi di un nuovo grande racconto collettivo, di un progetto di società. E’ dagli anni Settanta che all’Europa manca un progetto.
Fonti
Gaël Giraud corriere-della-sera-sette
Gael_Giraud_ecologia_finanza repubblica economia
gaelgiraud.net/autres-publications/
emi.it transizione-ecologica-istruzioni-per-l-uso-Giraud
vaticaninsider recensioni una-transizione-ecologica-per-salvare-leuropa
treccani magazine La_transizione_ecologica_di_Gael_Giraud
controinformazione.info/nel-libro-di-gael-giraud