“I, Tonya”: nulla è mai abbastanza per “l’altro volto” dell’America
Sono uscita da lavoro e sono corsa al cinema con l’idea di distrarmi dallo stress quotidiano e godermi un bel film. Alla fine del film ero tutt’altro che rilassata – turbata è la parola giusta – ma soddisfatta: è una storia che vale la pena conoscere.
Tonya (Margot Robbie) inizia a pattinare all’età di 4 anni e, durante la sua carriera, facendosi strada a suon di gomitate, tenta in tutti i modi di diventare la migliore pattinatrice d’America senza perdere i suoi tratti distintivi. La protagonista riesce a coltivare la sua unica e più grande passione fino a quando un tragico evento sconvolge il mondo del pattinaggio e contestualmente segna la fine della carriera di Tonya: la pattinatrice Nancy Kerrigan (Caitlin Carver) viene aggredita da un uomo durante un allenamento e ferita gravemente ad un ginocchio.
Il regista Craig Gillespie racconta le tensioni psico-drammatiche vissute da coloro che orbitavano intorno alla vittima anche grazie a parti di interviste e video tratti dalla cronaca sportiva degli anni Novanta.
Infatti, fanno da complici a questo scandalo una relazione amorosa ossessiva, un’amicizia al limite della follia, un rapporto madre-figlia fuori dal comune (per fortuna) e l’intransigenza del mondo agonistico.
Cosa intendo? Beh, la vita di Tonya è un continuo pendolo tra un pugno in faccia e una sfiga.
Figlia di un padre assente e di una madre (Allison Janney) che dimostra affetto tramite insulti e percosse, Tonya vive in condizioni economiche disastrose. Incontra un giovane, Jeff Gillooly (Sebastian Stan), apparentemente sano di mente e molto dolce e si aggrappa a lui con tutte le sue forze. Presto però, è chiaro che la loro relazione si riduce ad un tira e molla senza fine che lascia il segno sia sul suo volto che nelle sue prestazioni sportive.
Tonya la pattinatrice è conscia che la sua bravura è oscurata di continuo dall’essere povera, ribelle e dall’avere una forte personalità. Tonya come donna è contemporaneamente forte, tenace, determinata, appassionata e “purtroppo” anche bisognosa di affetto e ingenua. Una non esiste senza l’altra, si alimentano a vicenda e impediscono all’ostruzionismo dei giudici durante le gare e all’indifferenza delle forze dell’ordine di sopraffarla.
La vita della protagonista è una spirale di ingiustizia, cecità sociale e indifferenza. L’assenza di luce, di speranza e di pace, nonostante la sua bravura, la sua buona fede e la sua passione destabilizza profondamente chiunque provi a immaginare come potesse essere la sua vita anche per 5 minuti. È frustrante pensare che nulla di quello che una grande pattinatrice come Tonya Harding abbia fatto sia stato mai abbastanza. L’aver eseguito un triple axel non è bastato a renderla il volto americano, neanche una sola volta.
A me invece questo è bastato per “innamorarmene”.