“Immacolata Concezione” al Sala Umberto: la recensione

Immacolata Concezione

È stata in scena fino al 2 ottobre al Sala Umberto di Roma “Immacolata Concezione”, regia e drammaturgia di Jole Anastasi.

L’opera, nata da un’idea di Federica Carruba Toscano, è una fiaba “nera”, la storia di un microcosmo siciliano in cui la violenza e l’ignoranza trasformano la vita di una fanciulla in una narrazione quasi mistica e disperata.

Immacolata Concezione è ambientata nella Sicilia degli anni ’40; i venti di guerra si avvicinano e, anche se solo di strascico, anche il piccolo paese in cui vive Concetta, la protagonista, ne viene attraversato.

Concetta è una ragazza innocente e ignorante, venduta nel bordello del paese dal padre. Il genitore la baratta in cambio di una capra con Donna Anna, proprietaria della casa di piacere.

Come carne da macello la ragazza, completamente nuda, viene quasi trascinata attraverso la platea fino al palcoscenico: legata dal collo viene trasportata come un animale e come tale giudicata dal padre.

Venduta, pulita e vestita con abiti succinti, viene esibita per gli uomini lascivi del paese.

Concetta non sa nulla del sesso, non sa come soddisfare un uomo e fare l’amore ma nonostante questo tutti gli uomini del paese iniziano a frequentare assiduamente la sua stanza.

Tra le donne del bordello si insinua il malcontento, ancora di più perché l’uomo più potente del paese diventa il suo estimatore. Don Saro, infatti, sembra ossessionato da quella giovane dagli occhi ingenui e buona che ama farsi raccontare storie.

Anche Turi, braccio destro di Don Salvo, si lascia affascinare da Concetta fino alle tragiche conseguenze.

Il senso di possesso è tale da provocare dolore e disperazione.

“Immacolata Concezione” è un’opera che racchiude in sé i germi di una novità e di una piacevole originalità ma che ha dei limiti, prima fra tutti il dialetto siciliano, difficile da comprendere per chi non conosce bene la lingua.

La storia si intreccia con le superstizioni ma non riesce ad esprimere le sue potenzialità. La drammaturgia si trattiene in superficie e non consente al pubblico di apprendere pienamente ciò che gli uomini hanno dentro di sé. Alcune idee, tuttavia, sono piacevoli, tra queste le brevi coreografie gestuali.

“Chi non sa da dove viene non può guardare davanti a sé”: uomini perduti, abbandonati, soli, bramosi di un anima, quella di Concetta.

Sul finale l’avidità si trasforma in allegoria, tutto è perduto, le carni diventano cibo, sangue e dolore.

Uno spettacolo di Vucciria Teatro

produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini

FEDERICA CARRUBA TOSCANO | ALESSANDRO LUI | ENRICO SORTINO

| JOELE ANASTASI| IVANO PICCIALLO

scene e costumi Giulio Villaggio

light designer Martin Palma

musica originale “scurannu agghiunnannu” Davide Paciolla

testo musica originale Federica Carruba Toscano

aiuto regia Nathalie Cariolle

collaborazione alla drammaturgia Federica Carruba Toscano

contributo drammaturgico Alessandro Lui

foto Dalila Romeo

video e graphic designer Giuseppe Cardaci

scenotecnica 2C Arte

opere di cartapesta Ilaria Sartini

organizzazione Nicole Calligaris

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