Intervista a Cicco Sanchez: “Aria”, il suo nuovo singolo, “una canzone autobiografica dove cerco di trasmettere il vuoto che avevo dentro di me quando l’ho scritta”
Aria è il nuovo singolo di Cicco Sanchez, in radio e su tutte le piattaforme digitali per Ada Music (Warner Music Italy). Una ballad romantica e struggente in chiave acustica. Il connubio e l’intimità di voce e chitarra catturano il sentimento di desiderio propulsivo e di connessione invisibile, facendo leva sul forte significato della semplicità e dei piccoli gesti che evocano quell’amore.
Con questo brano, Cicco Sanchez si afferma ancora una volta esploratore di generi, un cantante e autore che non pone limiti alla sua arte e alla sua crescita artistica, trasformando in musica e parole emozioni generazionali nelle quali è impossibile non specchiarsi e riconoscersi.
Cicco Sanchez è un artista e autore urban pop. Nasce e cresce a Torino e all’età di 14 anni, comincia a scrivere nella sua cameretta, realizzando le prime produzioni e trovando nella scrittura l’evasione da una realtà familiare complicata. Happysad è il suo mondo: un luogo immaginario in cui si riuniscono persone diverse con un unico stato d’animo. La rivalsa emotiva è la sua “raison d’etre” e l’amore è sempre il punto di partenza, non un traguardo.
- Buonasera e grazie per l’intervista. “Aria” è il tuo nuovo singolo, una ballad romantica e struggente. Ci racconti come nascono il testo e le sonorità?
Ciao Miriam, grazie a te! “Aria” è nata in un periodo di fase creativa molto alta. Stavo lavorando al disco “Disincanto” e appunto in quei giorni è nata “Aria” sul terrazzo di casa mia con il chitarrista Filippo Pizzigoni, voce e chitarra. Ho deciso di tenere questo brano fuori dal disco per dargli il giusto respiro. È una canzone autobiografica dove cerco di trasmettere il vuoto che avevo dentro di me quando l’ho scritta.
- Il brano racconta la perdita di un amore in cui l’unica alternativa possibile alla sopravvivenza è riviverlo: è una storia che hai vissuto?
In realtà non si tratta di una storia d’amore, ma stavo vivendo una situazione in cui una persona mi mancava tantissimo e ho immaginato di riaverla con me e dirle quanto mi mancasse e quanto fossi sempre “a un drink dalla felicità” e quindi quanto non fossi felice senza di lei.
- “ma vorrei solo nascondermi, posarmi come fa la polvere ore e ore stare immobile anche se sento il cuore esplodere”: l’immobilismo non è sempre un male ma spesso un attimo di stasi aiuta a ricomporsi e ripartire. Ti trovi in questa affermazione?
Sì, mi ci ritrovo, sono d’accordo, soprattutto ad esempio quando magari ho un blocco creativo dopo aver scritto tantissimo e mi rendo conto che devo fermarmi, ricaricare le pile e vivere per poi ritornare a scrivere.
- L’amore per la musica ha sempre fatto parte di te: con quali artisti sei cresciuto e qual è il tuo primo ricordo legato alla musica?
Sono cresciuto con Lucio Battisti, Dalla, Renato Zero, il cantautorato italiano “per colpa dei miei genitori”. A 5 anni cantavo Lucio Battisti al karaoke, quindi figurati! Poi crescendo mi sono appassionato molto ai testi, anche grazie al rap italiano e quindi forse la mia musica è un mix di queste due cose, per questo forse urban-pop, l’influenza del rap si riflette più nei testi e quella cantautorale e pop nelle melodie.
- Hai collaborato con molti artisti, tra cui Fred De Palma, Casadilego e Axos: cosa ti porti dietro da queste esperienze?
Le collaborazioni sono sempre molto stimolanti, una parte secondo me necessaria del percorso, sia a livello personale che artistico. Ad esempio, adesso è uscita una collaborazione nell’album di Not Good, il brano “Pelle d’Oca”, un pezzo secondo me molto forte, consiglio di andare ad ascoltarlo.
- Progetti e sogni futuri?
Sicuramente tanta musica, sto lavorando ad un progetto di cui non posso ancora parlarti, ma scrivo tantissimo, ho davvero tante canzoni nel cassetto.
- Domanda di rito: dovessi scegliere un’opera d’arte che più ti rappresenta chi saresti e perché?
“I mangiatori di patate di Van Gogh”, perché è stato accolto con scarso entusiasmo come un po’ tutto il resto finché era in vita, per la sua rappresentazione “troppo scura” e fuori tendenza. Preferivano opere più luminose e convenzionali. Solo anni dopo si è sviluppata una certa sensibilità a riguardo.