Intervista a Giacomo Festi: “Un giorno di ordinario narcisismo” il suo nuovo libro
Giacomo Festi, classe 1990, è un giovane scrittore che ha pubblicato da poco il suo nuovo romanzo “Un giorno di ordinario narcisismo”. Ho avuto il piacere di leggerlo e di porgli delle domande relativamente al libro e alla sua visione del mondo.
- Buonasera Giacomo. Innanzitutto voglio dirti che mai titolo è stato più consono al libro.
Ciao Miriam, e grazie per l’ospitata su queste pagine virtuali. Grazie mille! Diciamo che è la stessa cosa che ho pensato io con Uomini che odiano le donne.
- Il protagonista è atipico, giacché non suscita molta benevolenza nel lettore, probabilmente per il suo modo di giudicare sempre gli altri e mai sé stesso. È quello che volevi emergesse o è una mia personale sensazione?
Hai colto perfettamente nel segno, direi! Volevo proprio che suscitasse queste emozioni, un iniziale coinvolgimento da parte del lettore, sostituito poi da una vaga ambiguità mano a mano che si va avanti, fino al finale. Il fatto che tutti lo stiano notando mi fa molto piacere.
Era quindi una cosa voluta, dato che non mi piace parlare di personaggi troppo perfetti. È un’osservazione che mi hanno fatto con la protagonista umana di Vita da scarabocchio, il mio terzo libro: fare di lei un genio incompreso sarebbe stato troppo facile e ruffiano, molto meglio (e più interessante ai fini della storia) renderla una mediocre come tutti.
Ci sono già tanti autori molto bravi nel raccontare di protagonisti ideali che fanno a botte col mondo. Io preferisco parlare di personaggi così, sempre in discussione e costantemente in conflitto con la loro personalità. Non dei gran simpaticoni, dei perdenti su tutta la linea, ma credo che nella perdita ci sia una grande dignità, quando la si sa raccontare bene, oppure trovo molto più coerente mostrare la bruttura che ci accomuna tutti. Mi ci trovo molto più a mio agio, forse perché essere delle brutte persone fa un po’ parte della nostra natura e l’unico modo per uscirne è accettare il male, lo stesso male che però ci rende umani.
- Il mondo appare nel libro cinico e senza anima. Trovi queste caratteristiche anche nella realtà circostante?
Beh… siamo nel 2017 ma vedo quotidianamente dei poveracci che pensano che il pericolo siano altri poveri cristi che vengono da un continente straniero, altri ancora sono convinti di far valere i propri diritti togliendone ad altri, mentre una ragazza non può vivere la propria vita sessuale liberamente senza essere additata come una “troia” con estrema leggerezza. Pure le relazioni sono diventate una rivendicazione sociale, per certi versi. Tutte cose che mi sentivo di trattare col tono dissacrante della risata, anche se amara.
Penso più che altro che siamo bramosi di risposte e, avendo fretta, scegliamo quelle più semplici, immediate e a portata di mano. È questo che ci fa apparire senz’anima. A me le risposte piacciono fino a una certa, in più le trovo veicolanti per altri pensieri, un livello successivo. Trovo molto più interessante chi si sofferma a fare domande.
- C’è qualcuno finito nel tuo mirino che hai attaccato con particolare gusto?
Come dico sempre, la cosa strana è accorgersi di non trovare qualche parte di sé presa in giro nel libro. Non avevo una mira specifica, ma molti pensieri comuni che purtroppo esistono ancora.
Detto senza tanti peli sulla lingua, però, sono particolarmente contento di aver fatto il capitolo sui Guardiani prestanti. Qualunque somiglianza con le Sentinelle in piedi non è casuale.
- Descrivi la situazione di disillusione e paura del tempo che trascorre senza condurre a nulla di molti giovani.
La mia generazione si è trovata una bella patata bollente fra le mani. Abbiamo passato l’infanzia nell’agio a coltivare progetti e sogni, per trovare poi, al limitare dell’essere adulti, un mondo che è stato stravolto e al quale ci si è dovuti adeguare.
Ogni generazione passa il testimone a quella successiva, credo che molti miei coetanei siano entrati in crisi perché sentono costantemente un occhio accusatore contro, proprio perché percepiscono che è il momento di dimostrare qualcosa. Ma cosa?
Il narcisismo come malattia sociale credo nasca anche da qua. Non si tratta solo di eserciti del selfie o di tori pamploniani, ma un mettere in risalto se stessi nella speranza che qualcuno noti il nostro passaggio. Anche qua, la risposta è l’effetto più rapido, ma non sempre quello giusto.
- Credi ci sia una soluzione a questo senso di insoluto?
Non sono un politico o un sociologo, quindi non so quanto la mia parola possa valere in merito… mi limito a scrivere libri e, come ho scritto prima, più che a dare risposte preferisco fornire delle domande. Ognuno cresce alla sua maniera, con diversi processi e ragionamenti, ma l’importante è proprio quello: iniziare a ragionare, farsi delle domande.
Agogno però che venga il giorno nel quale le persone si interessino veramente di coloro che hanno vicino. Basta la piccola azione quotidiana, per cominciare, poi si vedrà. E che ci pensino tre volte prima di dare qualsiasi giudizio.
- Nel libro è molto sentito anche l’utilizzo dei social network. Come vedi la cosa?
Come cerco di vedere tutto: oggettivamente.
Non me ne voglia il compianto Umberto Eco, ma non credo che i social network abbiano (solo) dato parola a legioni di imbecilli. La differenza era che prima dell’avvento di Zuckerberg, se qualcuno era scemo lo sapevano solo amici e familiari, ora un po’ più di persone.
A me hanno aiutato per far conoscere i miei libri. Quest’anno al Salone del Libro di Torino parecchie copie sono riuscito a venderle grazie alle persone che mi seguono sui miei canali e sempre grazie ad essi ho potuto avere in semi-diretta dei pareri sui miei lavori. Senza contare quello che sono stati, fino a pochi anni fa, i forum di appassionati in diverse materie, lì ho potuto apprendere molte cose su cinema, letteratura, fumetto e molto altro.
Il social network è un giocattolo, alla fine, da solo non fa nulla. Spetta a noi usarlo di conseguenza o intelligentemente. D’altronde con un coltello posso sbucciare una mela o uccidere una persona…
- Il protagonista del libro ha qualcosa di negativo da dire su tutti. Non è semplicemente l’invidia di chi non ce la fa?
Diciamo anche che quelli che si trova davanti sono dei casi molto particolari (ride), oltre che il senso del tempo che trascorre senza condurre a nulla di cui parlavamo poco fa. Sono convinto però che chi ha bisogno costantemente di rimarcare le mancanze altrui, lo fa per un senso di disagio interiore. Ma in un mondo dove la democrazia, per quanto necessaria, ha dimostrato d’aver fallito su più piani, come si può sperare che la propria voce venga davvero accolta?
- Come mai la scelta di non dare un nome al posto in cui vive, ma di chiamare la cittadina solo R?
Quasi tutti i miei libri sono collegati fra loro e ambientati in questo microspazio. Volevo creare una città che esulasse dalla realtà, pur mantenendo i connotati della tipica provincia italiana, in modo che ognuno possa rispecchiarcisi e vederla un po’ sua.
Poi vuoi mettere il sadico piacere di far credere che sia quella in cui abiti e instaurare la paura di aver messo qualcosa di chi conosci fra quelle pagine?
- Il libro è autobiografico oppure la tua realtà nel mondo dell’editoria è ed è stata differente?
Molte delusioni le ho trovate pure io, tanto che almeno una volta l’anno penso di mollare tutto e di darmi all’allevamento di ornitorinchi. Poi per fortuna torno in me e decido di andare avanti, per dispiacere della letteratura.
Fortunatamente ho sempre avuto l’accortezza e i giusti consigli per tenermi lontano dalle trappole dei vari contratti, oltre che trovare dei copertinisti che sapessero sopperire alle mancanze del contenuto (ride).
Però mi sono preso anche moltissime soddisfazioni.
- Al momento stai lavorando ad un altro libro?
Posso solo dire che non vi libererete di me tanto facilmente.
Pagina dell’autore: https://www.facebook.com/ilJeanJacques/