Si intitola “MATRIA”, il nuovo singolo di Alessandro Sipolo. Il termine “Matria” rimanda al poeta Mario Luzi, primo in Italia a usarlo in una sua opera, e a Michela Murgia, che al concetto di “matria” ha ridato vita e vigore. Il singolo, una ballad profonda in collaborazione con Finaz della Bandabardò, è il primo estratto dal nuovo disco del cantautore bresciano, “D’io Matria Vaniglia”, in uscita a settembre 2024 per Freecom/LaPOP.
Alessandro Sipolo è un cantautore e attivista bresciano che ha coniugato, fin dagli esordi, la vena artistica all’impegno politico e sociale in ambito di diritto alla migrazione, antifascismo e antimafia.
Nel 2013, dopo un anno di lavoro e viaggio tra Perù, Bolivia, Cile e Argentina, rientra in Italia e pubblica il suo primo album, “Eppur bisogna andare”, prodotto da Giorgio Cordini, storico chitarrista di Fabrizio De André. Il disco, concept album sul tema della “resistenza”, intesa sia in senso storico che quotidiano, vince il premio Beppe Gentile 2014 come migliore album d’esordio. Nel novembre 2015 Alessandro Sipolo pubblica il suo secondo album, “Eresie”, prodotto con la collaborazione artistica di Taketo Gohara e Giorgio Cordini e impreziosito dalla partecipazione di grandi artisti. “Eresie” rientra tra i 50 finalisti per la Targa Tenco 2016, categoria “miglior disco assoluto” e ” tra i 50 brani finalisti nella categoria “miglior canzone”.
Il 25 gennaio 2019 esce, per le etichette laPOP e Freecom, il terzo album, “Un altro equilibrio”, il cui tour conta più di sessanta date tra Italia e Francia. Parallelamente all’attività musicale svolge, dal 2010, attività di ricerca, progettazione e coordinamento in materia di sociologia delle migrazioni e sociologia della criminalità organizzata. È fondatore e coordinatore della rassegna culturale Umanità Migrante e della Scuola Popolare Antimafia di Brescia.
Buonasera Alessandro, grazie per l’intervista.“Matria” è il primo singolo estratto dal nuovo disco che uscirà a settembre “D’io Matria Vaniglia”. Una ballad profonda, in collaborazione con Finaz della Bandabardò: come nasce questa collaborazione?
Buongiorno e grazie a voi.
La Bandabardò è una delle band alle quali sono più affezionato. La seguo dai tempi del liceo. Ho conosciuto Finaz alcuni anni fa in occasione di un suo concerto solista a Brescia. È nata una bella amicizia che mi ha portato ad aprire moltissime volte i concerti della Banda, ad ospitare Finaz per la prima volta nel disco “Eresie” e per la seconda in quest’ultimo lavoro. È sempre un grande onore per me collaborare con un musicista del suo spessore. Tutti i componenti della Bandabardò hanno la splendida caratteristica, assolutamente non scontata, di coniugare un alto livello artistico a una grandissima umiltà. Per questo è sempre un piacere incontrarli.
Il singolo intreccia privato e politico, è una canzone d’amore ma anche un messaggio sociale. Ci racconti la sua genesi?
Il titolo del disco (D’io Matria Vaniglia) vuole significare l’esatto rovesciamento dello slogan nazionalista Dio Patria Famiglia.
Dunque il termine Matria, probabilmente usato per la prima volta in Italia da Mario Luzi in una sua splendida poesia, in questo caso è il contrario della Patria guerresca, virile e identitaria.
Rimanda a un’idea di collettività che non rinuncia a un’identità ma che si definisce attraverso confini permeabili e inclusivi.
Ho voluto giocare attraverso l’equivoco di riferimenti rivolti alla mia compagna e allo tesso tempo a un’idea di terra accogliente.
Il brano è anche un omaggio a Michela Murgia che al termine matria ha ridato vita e vigore: una figura essenziale in una società dominata dal patriarcato e dalla visione distorta della figura femminile. Cosa può ancora oggi insegnarci Murgia?
Murgia è stata una sincera femminista. Si può condividere o meno ciò che ha detto e scritto ma non si può non ammirare la determinazione e l’onestà con la quale ha voluto sempre schierarsi e prendere parte, pubblicamente, in merito a temi fondamentali.
A me pare che i grandi nomi dell’arte e della cultura italiana siano sempre più restii a prendere posizione, forse temendo di perdere followers…
Murgia era una donna consapevole e coraggiosa.
Non credo lei volesse “insegnarci” qualcosa. Credo piuttosto che volesse testimoniare, con la sua vita e le sue opere, la possibilità e la necessità di essere sé stessi nonostante il peso di certe imposizioni religiose, politiche e sociali. Voleva essere parte del cambiamento, non limitandosi ad attendere qualche gentile concessione dall’alto. Per questo il brano Matria è dedicato anche a lei ed è stato pubblicato il giorno del suo compleanno.
È un brano che immagina la possibilità di un’identità collettiva che non sia contro qualcuno ma al servizio di tutti e tutte, nel rispetto delle differenze che ci sono, ci saranno sempre e non vanno né negate né represse.
So che di Murgia eri anche amico: cosa ti porti dietro di quei momenti di chiacchiere e confronti?
Ho avuto il piacere di conoscere e frequentare Michela in diverse occasioni. Porto con me il ricordo di una persona fiera, determinata e libera. E estremamente divertente. La sua idea di donna e di società erano l’esatto opposto di quel che la nuova e vecchia retorica nazionalista vogliono imporci.
In questi giorni si parla di parole e del loro uso al maschile e al femminile. Quanto le parole hanno davvero il potere di influenzare lo “stato delle cose”?
Ci sarebbe davvero molto da dire.
Cerco di essere sintetico: il linguaggio è cruciale perché sappiamo bene che spesso il contenitore plasma il contenuto. La lingua non è pietra, non è mai definitiva. La lingua, fortunatamente, evolve, esattamente come la società ed i suoi valori. Dunque ben venga l’aggiornamento delle parole e del loro utilizzo, sempre più attento alle diverse sensibilità.
Oggi a mio avviso la sfida è riuscire a innovare la lingua senza invalidarne lo scopo principale, che è comunicare.
Nel mio piccolo, ad esempio, cerco di usare il maschile e il femminile nella maniera più appropriata possibile, evitando però simboli e formule improbabili che allontanano sempre più lo scritto dal parlato e rendono la comunicazione “inclusiva” una questione elitaria e libresca, quindi di fatto escludente per molti e molte.
Non solo cantautore ma anche attivista in termini di diritto alla migrazione, antifascismo e antimafia. Credi che possiamo farcela oppure i semi dell’ignoranza e della paura sono sempre più forti?
Se si guardano le tendenze politiche prevalenti non si può essere certo ottimisti. Come si suol dire… “La guerra tra poveri la vincono i ricchi”. E l’hanno già vinta da un pezzo.
Io cerco di fare la mia modesta parte, di battermi per quello che ritengo giusto, senza grandi aspettative sulle possibilità di cambiamento, cercando comunque di non farmi vincere dal nichilismo. È sempre il desiderio che ci salva. Fare ciò che ci interessa, spendersi per ciò che ci appassiona.
Cosa auspichi e sogni da artista e uomo?
Molte cose. Qui fatico a fare sintesi.
Ci racconti qualcosa in più del nuovo album?
È una creatura alla quale tengo molto, anche perché ha avuto una gestazione davvero lunga.
Questo disco è un discorso sulle alternative alla società del rancore ormai prevalente. Una ventina d’anni fa si gridava “otro mundo es posible…”. Oggi probabilmente “otro mundo es imposible”, per varie ragioni, e allora un lavoro come questo per me è innanzitutto uno sfogo, una terapia.
Dalla prima canzone, Vaniglia, dedicata proprio al desiderio soggettivo contrapposto alle imposizioni sociali, fino all’ultima, D’io, scritto con l’apostrofo in mezzo in maniera esplicitamente antireligiosa, provo a intraprendere un viaggio solitario e solidale.
Domanda di rito: dovessi scegliere un’opera d’arte che più ti rappresenta chi saresti e perché?
Anche qui fatico a fare sintesi. Però provo a non sottrarmi alla domanda e rispondo senza pensare troppo: mi piacerebbe assomigliare al postino – Troisi del film di Radford. Per riuscire a far convivere lo stupore, la lotta e la poesia.