Intervista al regista Rosario Tronnolone: “La voce umana” in scena al Teatro Di Documenti
Nel febbraio del 1930 Jean Cocteau presentò alla Comédie Française una pièce che rappresentava un esperimento: un dialogo di cui è possibile ascoltare solo una parte, perché solo uno dei personaggi è in scena mentre l’altro è in un luogo imprecisato, all’altro capo di un telefono. A sessant’anni esatti dalla morte dell’autore, avvenuta l’11 ottobre 1963, “La voce umana” conserva intatta, e forse ancor più intensa, la sua capacità di coinvolgimento e identificazione.
In scena al Teatro Di Documenti, fino al 22 ottobre, la pièce interpretata da Siddhartha Prestinari e diretta da Rosario Tronnolone.
Abbiamo avuto il piacere di intervistare Rosario Tronnolone.
- Buonasera Rosario, la ringrazio per l’intervista. Ha debuttato il 17 ottobre al Teatro Di Documenti “La voce umana” di cui è regista: cosa vedrà lo spettatore in scena?
Una donna che si muove in uno spazio vuoto, colmandolo della propria sofferenza. Visivamente il dolore è immediatamente percepibile, mentre il suono della voce della donna sembra all’inizio contraddire quanto lo spettatore vede, creando una situazione che avvince, commuove, spaventa.
- La pièce, scritta da Jean Cocteau nel 1930, nonostante il tempo trascorso è ancora attuale: il telefono diventa dicotomia di solitudine e vicinanza. Crede che oggi l’uso della tecnologia stia soppiantando l’esperienza sociale?
È una questione di consapevolezza, responsabilità e intelligenza. L’uso irresponsabile della tecnologia rischia purtroppo di farci accontentare della parvenza di un rapporto, di farci accettare un surrogato al posto dell’esperienza vera.
- Cosa diventa la “voce umana” oggi?
Per l’attrice che la interpreta, la magnifica occasione di interpretare due ruoli, quello della donna in scena e quello dell’uomo di cui deve far intuire la presenza, la voce, le menzogne, i rimorsi. Per il pubblico, la magnifica occasione di riconoscersi in uno spettro immenso di sentimenti che appartengono a tutti.
- Sulla scena un’unica interprete, Siddhartha Prestinari: quali sue caratteristiche l’hanno spinta a sceglierla?
Siddhartha è un’attrice formidabile: possiede un enorme talento, una rara trasparenza emotiva, un’intelligenza accesa, un volto e un corpo molto espressivi, una incredibile capacità di concentrazione, una grande generosità, molta autoironia, e un istintivo senso della misura che rende armonioso tutto ciò che fa in scena. Lavorare con lei è un privilegio.
- Il testo racconta la complicata rottura di un rapporto amoroso: “sentire il dolore e la solitudine” è un sentimento universale. Bellezza e “frattura” dell’uomo?
Credo che la bellezza possa misteriosamente scaturire da quella frattura: se ne può uscire incattiviti, resi cinici, diffidenti, avari dei propri sentimenti, oppure aperti, generosi, più sensibili, persino grati. Sì, persino grati.
- Ha dichiarato che l’attrice sul palcoscenico dovrebbe “perdere sangue come una bestia ferita”: il “sangue” purificherà la relazione tra i due ex amanti?
Il sangue in questo testo è metafora di sincerità. All’inizio entrambi mentono per amore, lei per non fargli pesare il dolore che prova, lui per timore di ferirla ulteriormente. Ma la menzogna è una forma di diminuzione della dignità di quell’amore. La sincerità purifica e nobilita entrambi.
- Ha dei prossimi progetti in programma?
Uno vicinissimo: “Sinfonia d’autunno” di Ingmar Bergman, che sarà in scena al Teatro di Documenti dal 31 ottobre al 5 novembre. E poi molti sogni.