“Jacques Louis David. Autoritratto di una rivoluzione”, regia di Stefania Porrino, al Teatro di Documenti: la recensione
Il Teatro di Documenti è stato scenario suggestivo, il 31 maggio, della mise en espace “Jacques Louis David. Autoritratto di una rivoluzione”, testo teatrale di Camilla Migliori.
L’opera, con la regia di Stefania Porrino, racconta la notte lunga e piena di dubbi e domande del pittore accusato, dopo la caduta di Robespierre, per la sua attività politica come deputato giacobino.
Il teatro diventa prigione, non solo come spazio vissuto dall’artista accanto al suo carceriere (Giacomo Segreto), ma anche come interiorità. Jacques Louis David (Giulio Farnese) appare smarrito nei meandri della sua coscienza, un uomo debole nella sua disfatta ma ancora in grado di cercare e volere una “speranza”, un appiglio per rinascere.
Accanto al pittore i fantasmi di Danton (Giuseppe Pestillo) e Robespierre (Alessandro Pala Griesche), interpretati dai compagni di cella. I due si fanno beffa dell’artista pungolando il suo animo, già “viziato” dalla prigionia e dalla condanna.
Il protagonista è un uomo che non suscita empatia eppure assurge a un’umanità esistente: ambiguo e opportunista è pronto a rinnegare ciò in cui crede per la sua salvezza. Eppure i suoi soggetti artistici sono “alti”, evidenziano virtù e moralità: forse il non essere quel che si vorrebbe essere, tramuta la sua arte in percezione della realtà?
È una figura interessante quella del pittore, così come quella dell’ex moglie, Madame Pecul (Nunzia Greco). La donna, nonostante sia stata abbandonata dall’uomo, è pronta ad aiutarlo, a salvargli la vita e a riprenderlo con sé. Troppo innamorata oppure moglie consapevole della fallacia umana eppure ugualmente pronta ad accettarla?
La mise en espace di Stefania Porrino evidenzia in poco tempo le caratteristiche intrinseche di un uomo e di un’artista, riuscendo ad adempiere al ruolo primario del teatro, ovvero suscitare interrogativi.
Gli interpreti danno una buona prova attoriale, riuscendo a sostenere la scena nonostante la complessità di una scelta teatrale, la mise en espace, che può provocare nello spettatore ostracismo: non è questo il caso. Lo spettacolo è ben accolto, compreso e apprezzato. Le musiche, suonate dal vivo, di Lorenzo Sorgi danno all’opera il senso del ritmo e dello scorrere del tempo.
Un’opera di grande pathos capace di raccontare non solo il potere salvifico dell’arte ma la capacità umana di trovare nuova speranza anche nei momenti più bui.
“Tutte le notti l’ombra di Danton mi corre dietro per le strade di Parigi… e la voce di Robespierre mi tormenta nel sonno…. Perché mi perseguitano…? La mia vista diventa sempre più debole… Tutto appare sfocato, confuso… Quella parete scrostata, laggiù in quell’angolo… vedo ombre, profili di visi, sembrano braccia, gambe che si muovono… (sussulta, impaurito) Ma chi c’è in quell’angolo? Che volete? Come avete fatto ad entrare?”