L’ Insta-mafia dietro la popolarità di alcuni influencer?
La fotografa Sara Melotti ha denunciato gli strumenti, eticamente poco corretti, usati dalle star di Instagram, su cui i brand puntano per arrivare ai consumatori.
Secondo una recente indagine della Royal Society for Public Health, Instagram è il social network peggiore per la salute mentale dei ragazzi.
La piattaforma pur concedendo (apparentemente) ampia libertà di espressione, origina, in realtà, ansia, depressione e soprattutto la cosiddetta “fear of out missing”, ovvero la paura di essere tagliati fuori.
Partendo da questa consapevolezza, Sara Melotti, classe 1988, fotografa italiana di viaggi e influencer, ha denunciato sul proprio blog un sistema marcio e corrotto, del quale lei stessa ha fatto parte fino a poco tempo fa.
Senza una fissa dimora e perennemente in viaggio, Sara si trova attualmente in Cambogia e di recente ha lasciato un’intervista sul sito Young – Slow Journalism, poi ripresa da The Post Internazionale.
Fin da bambina sognava di fare la ballerina, ma a causa di alcuni problemi fisici ha dovuto abbandonare il suo sogno nel cassetto, dedicandosi, così, alla fotografia e mostrando fin da subito un grande talento. Dopo mesi di gavetta, Sara si trasferisce a Londra, dove viene apprezzata da diverse agenzie di moda, per poi volare a New York.
Dopo aver lavorato nel settore della moda per un anno e mezzo, Sara inizia ad avere quella che lei stessa definisce “una crisi di coscienza”.
“Ho realizzato che con il mio lavoro facevo star male molte donne, – dichiara a TPI- perché anche io contribuivo a proporre degli standard di bellezza irrealistici. Tutti i giorni siamo bombardati da foto di donne con la pelle perfetta, magrissime, che senza rendertene conto ti fanno sentire sbagliata. Le persone non sanno che quelle modelle hanno tratti fisici che appartengono a meno del 2 per cento della popolazione, che arrivano sul set dopo due ore di trucco e parrucco, con un team che le sistema ogni secondo. A tutto ciò si aggiunge poi Photoshop, ma noi guardiamo solo il risultato finale e ci chiediamo: “Perché io non assomiglio a lei?”. Ed è così che iniziano i problemi di autostima, depressione, che portano poi a diversi disturbi alimentari”.
Una vera e propria bolgia da cui è difficile (a volte addirittura impossibile) uscire.
A questo punto Sara decide di combinare il suo lavoro con la sua più grande passione, viaggiare.
“Così – continua- ho creato un progetto non profit “Quest For Beauty” e ho deciso di viaggiare e fotografare donne di etnie diverse, di età diverse, per chiedere a loro cosa sia la bellezza. Sono partita dal paese di mio padre, Val Camonica, nell’ottobre 2015, e poi sono andata in Marocco, NY, Hong Kong, Vietnam, poi Cuba, Messico, Francia, Etiopia e Kenya.”
Nel 2016 Sara decide di postare le foto dei suoi bellissimi viaggi su Instagram e da qui il suo lavoro di blogger che la porterà a conoscere le altre sfaccettature di questo “mondo oscuro”.
“Io la chiamo “Instagram mafia”, a cui non ho mai preso parte, ma conosco gente che ne fa parte, anche amici. Molto usano la dinamica dei “comment pods” ma portata all’estremo. Si tratta di gruppi di oltre 100 persone, di piccoli e grandi influencer, che si mettono d’accordo su Facebook e WhatsApp per mettere i like e commentarsi le foto a vicenda, in modo da arrivare subito nella pagina explorer ed essere visti da tante persone.
I brand ormai investono sugli influencer perché mirano ai loro seguaci (anche se spesso le aziende non sanno come si diventa popolari.
Instagram ormai è diventato un canale di advertising.)”
Dopo la denuncia Sara ha generato reazioni contrastanti, c’è chi l’ha contattata, ringraziandola per aver messo in luce queste cose, ma anche per aver fatto capire che in loro non c’era nulla di sbagliato.
Ci sono state, però, anche reazioni negative e soprattutto da parte di italiani che non apprezzano il suo lavoro, denigrandolo.
“È per questo motivo che sono scappata dal mio paese: sono sempre stata una sognatrice e tutte le volte che volevo fare qualcosa mi hanno tagliato le gambe, dicendo che non ero normale. Allora, piuttosto che vivere repressa sono andata via”.
“Questa non è la vita vera. Se una persona scrive frasi come “I woke up like this” allora inizi a fare dei danni. Sono foto progettate appositamente, dietro ci sono tante ore di lavoro, ma se non lo dici e le fai solo per aumentare il tuo ego si innesca il solito meccanismo. La gente vede delle vite perfette che non esistono e inizia a chiedersi: “Perché la mia vita non è così?”. E si sente uno schifo.
Io voglio solo “vendere” le mie idee, i miei pensieri, non mi interessa fare soldi. Molti invece lo fanno e non c’è nulla di male. Ok la sponsorizzazione, l’importante è che sia fatta in maniera etica e corretta.”