“Le tre notti dell’abbondanza” di Paola Cereda: recensione del romanzo

Le tre notti dell’abbondanza

Autore: Paola Cereda

Casa Editrice: Giulio Perrone Editore

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“Le tre notti dell’abbondanza”: il nuovo libro di Paola Cereda, edito dalla casa editrice Giulio Perrone Editore.

Una protagonista, Irene, in grado di modificare la percezione del romanzo stesso. Il libro, infatti, è ambientato a Fosco, un paese della Calabria il cui il nome porta con sé lo stato d’animo dei suoi abitanti. La foschia sembra, appunto, avere divorato la loro vite, nascoste dietre ai doveri, ai preconcetti e alla paura.

Un solo uomo domina la cittadina, zi’ Totonnu, in una Calabria nel cui entroterra è possibile scoprire, nella realtà, ancora oggi, luoghi che trascinano con sé la stessa infamia.

Fosco è una cittadina “bizzarra”, crea turbamento leggere di essa: ha il mare ma gli abitanti non si bagnano nelle acque e i suoi “doni”, che per lungo tempo avevano dato sostentamento, non sono più ben accetti.

“Il mare non si doveva toccare perché era maledetto. Entrava negli occhi e increspava le onde per imporre loro il dovere di brillare. Luce. Fosco era accecato dalla luce, a dispetto del nome che era uno straccio di cotone buttato sulle case.”

Irene, tuttavia, brilla e sogna una vita differente. Una realtà “altra” che disegna nel suo quaderno arancione in cui tutto è diverso dalla normalità e appare incomprensibile per chi non riesce ad andare oltre al visibile.

Irene ha quindici anni e una vita modesta: lavora nel ristorante del padre Rosario mentre la madre Nuzza è la proprietaria di una lavanderia “U sapuni”.

Con lei vivono le due sorelle, Lorenza e Gianna, e il fratello, chiamato dai genitori “u principi” perché nato “maschio”. Angiolino, figlio di zi’ Totonnu e Rocco, il garzone della pizzeria, sono i suoi compagni di vita.

Il microcosmo di Irene è composto da individui differenti la cui esistenza prenderà direzioni inaspettate e che vengono raccontate dall’autrice con dovizia di particolari.

Irene, Angiolino e Rocco sono i fautori del cambiamento, la nuova gioventù di Fosco le cui menti pensanti, se pur ancora inconsapevoli, cercheranno di cambiare le leggi dell’uomo, innaturali nel loro afferrare la libertà di pensiero e azione e farla divenire nulla.

Libertà di cui Angiolino non può più fare a meno: la sua natura estrosa (ama cantare e vestirsi da donna) mal si addice al figlio del boss.

Rocco, al contrario, quella libertà non può agguantarla perché al suo destino, figlio di un uomo “ammazzato”, non può sottrarsi.

Irene, in quanto “fìmmina”, sembra, apparentemente, libera dal predominio degli uomini ma solamente perché la sua vita è stata già decisa dalla nascita.

Fosco è contrassegnata dalla faida tra le mafie locali: i Lorida, i Torsi e i Rusto di Fosco. Il predominio del territorio è il loro unico scopo e per raggiungerlo sono pronti a portare a compimento i peggiori crimini.

In questo ambiente vive l’anima di Irene, costretta e relegata in un ruolo che non la rappresenta ma che con il disegno riesce a librarsi libera.

“Le parole sono etichette che si appiccicano sui ricordi, per poterli ritrovare. I corpi dentro il mare, le divise sulla spiaggia e l’assenza di giudizio: era la libertà.”

Ciò che Irene e Rocco ascolteranno in una conversazione carpita all’interno di una chiesa interromperà definitivamente la loro fanciullezza per fargli comprendere come il raggiungimento della libertà è un percorso impervio.

“Siamo quello che scegliamo di essere. La luna splendeva, bocca all’ingiù e semicerchi a segnare la tristezza.”

Le tre notti dell’abbondanza marcheranno definitivamente la vita di tutti, di un fragile amore, di una tenera amicizia e di un diffidente affetto.

“Anche il vuoto impigrisce. Anche la certezza, balorda dell’impossibilità. Impigrisce la rabbia quando è scontenta. Impigrisce il giorno senza speranza, l’ora buia che sta in mezzo alla notte e il peso delle convinzioni che non cambiano.”