“Libro di Giona” del regista Zlatolin Donchev: recensione del documentario in concorso al Trieste Film Festival.

Il finestrino di un automobile a riflettere il dentro e il fuori di una vita, quella di Massimiliano, un uomo che esiste nello spazio della sua vettura.

“Libro di Giona” del regista Zlatolin Donchev è uno dei documentari in concorso nell’ultima edizione del Trieste Film Festival.

È un’opera che vive di immagini e di riflessi, in cui le parole hanno il solo senso di fornire allo spettatore insistente la comprensione e la risposta alle sue domande (quest’ultime tuttavia rimarranno insolute).

La macchina da presa segue la routine di Massimiliano: l’abitudine di una vita straordinaria.

Chi è Massimiliano? Un uomo solo, un sognatore, un artista?

Massimiliano è sicuramente un uomo che vive di fotografie scattate con il suo telefonino: immagini di paesaggi e dettagli in cui la presenza degli esseri umani è elemento quasi divergente in un mondo dominato dai chiari e scuri.

Un respiro profondo a cadenzare il ritmo della narrazione che racconta una storia che non si vuole narrare ma che pur esiste.

Massimiliano legge: vive delle parole che non pronuncia ma che forse vorrebbe far udire.

«Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra.» Matteo 12,40

Nel “ventre del pesce” Massimiliano trova protezione, nascondendosi dalla fallacia che, probabilmente, ha contraddistinto la sua vita.

“Libro di Giona” è un documentario ostico, dallo svolgimento lento, in cui la mancanza di parole rischia di far perdere la soglia di attenzione.

L’empatia non sembra ricercata perché lo spettatore, in fondo, deve solo osservare.

Massimiliano è un uomo senza un’etichetta, è un essere umano che non cambia ma rimane lo stesso, sempre e nonostante.

 

“Conosco Massimiliano da diversi anni. E da due l’ho filmato. L’ho seguito nella sua vita di strada, costretto ad abitare nella sua automobile dopo aver rifiutato il passato e la famiglia. Ne parlava poco, la sua mente era occupata con la sopravvivenza quotidiana … Le riprese del documentario venivano svolte per lo più quando Massimiliano sentiva il bisogno di incidere la sua storia, assumevano il carattere di un testamento … la fotografia era un mezzo non verbale di comunicazione tra me e Massimiliano, e su quest’affinità all’immagine abbiamo costruito la nostra amicizia. E il nostro film.” (Z. Donchev)

 

Sceneggiatura, fotografia, montaggio: Zlatolin Donchev.

Suono: Giovanni Corona.

Interpreti: Massimiliano Piccardo, Elena Carta.

Produzione: Gianluca De Serio, Massimiliano De Serio.

Coproduzione: Massimiliano Piccardo.

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