“L’ora più buia”: recensione del nuovo film di Joe Wright

Titolo originale: Darkest Hour

Regia di Joe Wright

Cast: Gary Oldman, Kristin Scott Thomas, Ben Mendelsohn, Lily James, Ronald Pickup, Stephen Dillane

Durata: 114 minuti

Andremo avanti fino in fondo. Combatteremo in Francia, combatteremo sui mari e sugli oceani, combatteremo con crescente fiducia e crescente forza nell’aria, difenderemo la nostra isola a qualunque prezzo, combatteremo sulle spiagge, combatteremo nei luoghi di sbarco, combatteremo nei campi e nelle strade, combatteremo sulle colline; non ci arrenderemo mai; e persino se quest’Isola o una gran parte di essa fosse asservita o affamata, il nostro Impero d’oltremare, armato e difeso dalla Flotta Britannica, condurrà avanti la lotta finché, a Dio piacendo, il Nuovo Mondo, con le sue risorse e la potenza, non giungerà al salvataggio e alla liberazione del Vecchio Mondo.

Con queste parole, parafrasate dal discorso “We shall fight on the beaches“, Christopher Nolan chiudeva Dunkirk, film con cui ha messo in luce la sua rivoluzionaria idea di cinema di guerra e che ha riscritto il modo d’intendere il genere. A pochi mesi di distanza dall’uscita nelle sale dell’opera del regista britannico, “L’ora più buia” ci racconta la storia di come si è arrivati al pronunciamento di quel memorabile discorso. È il maggio del 1940, gran parte degli Stati europei è caduta o è vicina alla capitolazione. Resiste, per il momento, la Gran Bretagna, guidata dal suo Primo Ministro Neville Chamberlain, ormai sfiduciato dal Parlamento. È giunto il momento di nominare un nuovo Capo del Governo. Sir Winston Leonard Spencer Churchill viene indicato come l’uomo più giusto. È un burbero politico di professione del partito conservatore, poco amato dai più, compresi i suoi compagni di partito. Lo stesso Re Giorgio VI gli affida con riluttanza l’incarico di formare un nuovo Esecutivo.

Eppure, lui è lì, pronto a farsi carico di un compito così importante, nobile e onorevole ma, al tempo stesso, di un onere così arduo e gravoso: farsi carico di portare sulle spalle il Paese durante il conflitto bellico mondiale.

Non sarà un’impresa facile perché, causa un’onta del passato che si trascina da tempo, verrà osteggiato da molti nel tentativo di farlo cadere, soprattutto quando ci sarà da trarre in salvo 300.000 giovani da Dunkerque. E sarà proprio lì che il neo Primo Ministro darà il meglio di sé. Così come dà il meglio di sé il quasi irriconoscibile Gary Oldman. Fresco vincitore del Golden Globe per il miglior attore in un film drammatico e doppiato dalla sempre piacevolissima voce di Stefano De Sando, dopo la candidatura andata a vuoto nel 2012 per La Talpa (Tinker Tailor Soldier Spy) è favoritissimo nell’ambiziosa sfida di portare a casa l’Oscar al miglior attore protagonista. Apprezzabile anche Ben Mendelsohn. Il già direttore Krennic di Rogue One: A Star Wars Story è impegnato questa volta nelle vesti del regnante già interpretato da Colin Firth in Il discorso del re (The King’s Speech), che gli fruttò l’ambita statuetta nel 2011.

Tutto il film è una cronistoria del maggio del 1940, con tanto di precisa scansione temporale.

Sir Winston Churchill ci viene mostrato in tutti i suoi momenti, inclusi quelli più intimi e persino in quelli al wc, dove Joe Wright prende parzialmente in prestito la tecnica narrativa adottata da Tarantino in Pulp Fiction. Le immagini del film rispecchiano il titolo: sono cupe, buie, a voler far trasparire non solo l’oscuro momento storico che sta attraversando l’Inghilterra e l’Europa tutta, ma anche lo stato d’animo di chi ha ricevuto il delicato compito di guidare il Paese verso la tregua o verso la vittoria. E i cambi di scena sono spesso notevoli. In conclusione, è un film che vale la pena vedere, non solo per approfondire questa tematica storica, non solo per completare il quadro già ampiamente abbozzato da Dunkirk, ma anche e soprattutto per godere della performance dell’attore quasi 60enne, più che mai lanciatissimo per uscire finalmente vincente dal Dolby Theatre.

Riccardo Ciriaco

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