Massimo Fini: “sulle ali del Giornalismo”
Massimo Fini rappresenta una delle voci libere nel deserto del tempio del politicamente corretto: una persona che per le sue idee ritenute poco consone rispetto al pensiero legato alla globalizzazione ed alla mondializzazione ha scontato sulla propria pelle lo scotto di essere emarginato ed accompagnato da sguardi diffidenti che lo hanno collocato al di fuori dei salotti all’interno dei palazzi che contano; non che lo scrittore ci sarebbe mai andato, ma silenziarlo ha significato mettere da parte una voce scomoda che il più delle volte incarna un’opinione differente ed allo stesso tempo illuminante.
Lombardo di origini toscane da parte paterna e russe da parte materna; dall’est importa un carattere apparentemente duro e schivo che nasconde dietro di sé in realtà una profondità intellettuale ed una gentilezza del cuore. Dalla Toscana proviene invece una discreta vena ironica, un’indubbia poliedricità, capace di viaggiare dalla filosofia alle scienze giuridiche passando per le arti umanitarie a tutto tondo, ed uno stile lineare, logico, fine e montanelliano nella scrittura e nell’analisi degli eventi. Da non dimenticare la passione per il Toro e le lotte per la salvezza. Perché i vinti ed il ruggito delle rivincite a Fini sono sempre piaciuti.
Il giornalista rammenta spesso l’insegnamento di Nino Nutrizio, colui che diceva che il giornalismo si fa con le gambe, camminando, annusando e percependo i fatti con tutti i sensi, anche quelli che vanno al di là del numero 5 e poi con la testa, elaborando, approfondendo, e dando la possibilità al pensiero, alla lettura ed alla scrittura di interagire con l’anima e con le doti intellettuali. Uomo di grandi letture, vira la prua della mente fra filosofi, romanzieri, e grandi intellettuali e si interessa ai prodotti degli scrittoi di Longanesi e Montanelli dei quali riconosce meriti, ma anche difetti, anche perché – ribatte – non idealizzando nessuno e guardando obiettivamente ai lavori dei grandi pensatori, poeti e scrittori si possono individuare al meglio i punti di forza maggiormente positivi.
Nasce a Cremeno nel 1943, nella provincia di Lecco; Fini frequenta il liceo statale al Carducci di Milano e qui è compagno di Claudio Martelli, mentre il suo insegnante di religione risponde al nome di Don Giussani, del quale riconosce il valore, le conoscenze e le competenze, ma del quale non condivide i metodi. Fini non si sente un credente, tuttavia ritiene fondamentale l’azione della spiritualità che ci fa comprendere l’esistenza di mondi altri e ci dà l’opportunità di interrogare noi stessi sull’effimero del pianeta materiale. Non perde mai di vista il senso comunitario, quello che la società interconnessa ha inevitabilmente perduto, e ricorda quanto fosse molto più sociale la vita dei villaggi con i rapporti fra le famiglie ed il riunirsi la sera ad ascoltare le storie dei vecchi, oggi anziani rispettati soltanto linguisticamente.
Inizia la sua attività lavorativa alla Pirelli e grazie ad una duttilità dai modi comunque essenziali e semplici e sicuramente non narcisistici, svolge il ruolo di copywriter e pubblicitario. Dal 1970 avvia la sua carriera di giornalista presso l’Avanti, quotidiano del partito socialista; qui segue la cronaca politica e si occupa anche di descrizione degli avvenimenti legati alla micro ed alla macro criminalità, dando ad essi in ogni caso una connotazione che travalica il contesto spazio – temporale, per prevederne le conseguenze, per enucleare le ragioni più antiche.
Riflette sulla penna (e nel suo intelletto), sui blocchi e sulla macchina da scrivere episodi che hanno determinato la storia italiana, rendendola fruibile nella sua tragicità, ma sempre con una miscela di garbo e determinazione dimostrando che l’informazione collegata e connessa al fluire del tempo debba illuminare la strada elevandosi a maestra.
Rammentiamo nella sua vita vissuta da cronista la testimonianza dell’omicidio ai danni del commissario Calabresi o la strana morte di Giangiacomo Feltrinelli.
La convivenza professionale con Oriana Fallaci all’Europeo nel 1971 non fu idilliaca: per molti aspetti i due si somigliavano, meno sulle idee, ma i loro minimi comun denominatori si incarnavano nella schiettezza, talvolta nella nettezza dei giudizi ed ovviamente nello stile giornalistico, elegante nella sua semplicità, semplice nella sua eleganza. Nel vergare le pagine con la sua penna che, in ogni situazione dimostra la sua propensione a conciliare teoria e pratica, esistenza materiale e sfera interiore, la passione di appuntare le idee in un movimento plastico che parte dai piedi che viaggiano e giunge alla testa pensante, Fini intende ricercare, motivare, trasmettere le sue emozioni che, lo ripete spesso, sostanziano il pensiero di un uomo che si è trovato a vivere tempi e spazi che forse non gli appartengono.
Un tempo occidentale nel quale si esalta il denaro e la democrazia, ma non si ha mai tempo per la comunità e la centralità della persona nel suo apporto all’umanità, e le banconote divengono fini a se stesse; egli denuncia una società caratterizzata dai consumi e dai bisogni indotti. Da sempre uno dei fili conduttori della sua critica, dura sì ma mai distruttiva, semmai propositiva – è raffigurata dalla perdita dei riferimenti prepolitici, che anticipano la politica, e che con una cultura interdisciplinare ed una ricerca del bello, possono essere rinvenuti nelle fondamenta etiche universali, nelle radici greco – romane e nelle origini cristiane. Negli anni 80 riveste il ruolo di editorialista ed inviato per il Giorno. Dal 1983 si registra il ritorno all’Europeo, ivi cura la rubrica il conformista, essendo nelle sue corde anche una sfida innata per i contrasti ed i contraddittori. Fra libri e articoli si sviluppa e prende il volo la cronologia degli eventi legati alla sua persona: sempre generoso e sempre disposto ad aiutare gli amici fossero essi, vip o gente comune, soprattutto nel nascondimento e nell’ascolto. Ascoltare, un verbo oggi quasi bandito nell’era del frastuono e della volgarità dove tutti possono, devono e vogliono dire la loro, anche quando non hanno la minima contezza di quello di cui stanno parlando.
Nel 1985 Fini pubblica ‘La ragione aveva torto?’; il messaggio che colpisce al centro dell’anima consiste nella stigmatizzazione dell’uomo moderno che costruisce condizioni di vita orientate ad un concetto di velocità e ad una misura di quantità, che non coincide con la qualità della vita; paradossalmente l’individuo della modernità – nell’opposta finalità di migliorare la sua vita ha posto le premesse per un aperitivo di inferno mondano.
Negli anni 90 oltre ad essere considerato uno degli editorialisti di punta dell’Indipendente di Vittorio Feltri scrive la biografia di Nerone, dato che la storia investe l’attualità della sua portata – e giustamente – è ritenuta dalla penna lombarda la madre delle discipline contenendole tutte. Lo scrittore si rifiuta poi di seguire Vittorio Feltri al Giornale, per il dissenso rispetto alla discesa nel campo della politica di Silvio Berlusconi, editore del quotidiano di via Negri. Si distingue allora nello stesso periodo per essere uno dei rifondatori del Borghese e nel 96 firma il libro Catilina ritratto di un uomo in rivolta. Ancora negli anni 2000 prosegue la sua produzione saggistica e biografica, dove la storia del mondo incontra quella di un ragazzo e poi di un uomo che non solo percorre la strada ma vuole capirne e carpirne i passi. ‘Nietzsche l’apolide dell’esistenza’ dipinge un quadro nel quale la vita si fa filosofia ed il pensiero esistenza e non su tela anonima; fra il 2003 ed il 2004 esce ‘Il vizio oscuro dell’occidente’ e nell’occasione Fini evidenzia il fatto che l’anti modernità non costituisca un reato. Tanti altri contributi, pubblicazioni ed articoli tratteggiano la figura di un ribelle contro un tempo di iperattività e di scontentezza e di uno spazio falsamente democratico, dove aggiungiamo noi, ci si sente tutti molto solidali nel condividere le scontate battaglie dei social che collezionano mi piace, dove tutto è virtuale e non ci accorgiamo del prossimo che abbiamo accanto, magari banalmente sopra un mezzo pubblico. Emblematico un suo articolo uscito su Libero – Cerco ideali e sono disposto a tutto’, una sintesi effettiva ed eccezionale del pensiero di un amante della tradizione che non vuole tradire un’idea mostrandosi come un freddo museo, ma come selezione di qualità universali e senza tempo.
Fini ci accompagna nel suo percorso mentale trasmettendoci il sentore di malessere epocale ed attuale: la carenza di emozioni collettive e di valori forti. La cancellazione dal vocabolario da parte di un progresso demente dei termini educazione, coraggio, eroismo.
Allo stesso modo i vecchi codici della lealtà e della parola data hanno ceduto il posto, magari davanti al finestrino del mondo globale aggiungiamo noi, alla spietatezza dei personaggi di internet e della televisione che influenzano con le loro lacrime patetiche e le risa scomposte ad intermittenza una società allo sbando.
Ma accusare la società è generico: nella società ci sono le persone che devono recuperare l’anima, il cuore e l’intelletto per edificare un mondo più umano, con più socievolezza e comunità e meno social. Lo scrittore ha ripetuto come un mantra efficace ed allo stesso tempo condivisibile un dato: oggi crediamo che la risoluzione per tutti i problemi sia il benessere e la comodità. Crediamo che le problematiche derivino dall’economia, ed invece sono esistenziali. In pratica non conosciamo nemmeno più le cause della malattia. E sbagliamo medicina. Citare tutti i libri, gli articoli e le interviste di Fini sarebbe un’impresa; quindi promettiamo al lettore che torneremo a parlare di lui. Recentemente Massimo ha perduto buona parte della sua vista, ma le ali per dettare le sue idee e per immaginare un pensiero che si fa azione battono in cielo e sulla sua Olivetti e ci portano sulle Ali del giornalismo.