Propizio è avere un punto di vista – il metodo di Emmanuel Carrère
L’ultimo lavoro di Emmanuel Carrère pubblicato da Adelphi, “Propizio è avere ove recarsi“, raccoglie buona parte della produzione giornalistica e non solo dello scrittore francese. In effetti si tratta di una raccolta di scritti di vario genere: troviamo infatti articoli giornalistici di ambito giudiziario o letterario, reportage sociopolitici, prefazioni a libri in uscita e scritti metaletterari.
Carrère è uno scrittore molto apprezzato, famoso per i suoi romanzi non-fiction, come lui stesso più volte sottolinea nelle pagine di questa nuova raccolta, ovvero romanzi – documentari, i cui protagonisti non sono frutto della sua fantasia, ma persone in carne ed ossa che lo scrittore ha incontrato, studiato e trasposto nei suoi libri,
dandone ovviamente una sua versione personale.
La peculiarità dei suoi romanzi è la forte presenza autobiografica: quando leggiamo un libro di Carrère, conosciamo non soltanto la storia dei protagonisti, ma anche la sua. Questa caratteristica si ritrova fortemente anche in tutti gli articoli della nuova raccolta: egli non si limita semplicemente a raccontare, ma ci dice anche il modo in cui lui stesso ha giudicato i fatti e le persone che li hanno compiuti, la sua opinione su di loro; in realtà va anche oltre a questo: ci dice cosa stava facendo lui quando ha iniziato a lavorare a quello che poi è diventato un reportage o una prefazione a un libro, a che punto era della sua vita, come ha collegato quest’ultima ai fatti che andava descrivendo.
Tutto ciò non deve essere scambiato per egocentrismo, perché innanzi tutto si tratta di una scelta fatta in piena coscienza, come spiega in uno degli ultimi scritti della raccolta, La Somiglianza, una sua conferenza tenuta a Firenze in occasione del Festival degli Scrittori del 2014: l’occhio dell’autore è importante per far risaltare quello che si descrive, soprattutto quando si tratta non di personaggi e azioni di fantasia, ma di persone reali.
Il fatto è che, secondo Carrère, la creazione di non-fictions pone il problema del confine tra romanzo e articolo di giornale, con tutte le differenze che intercorrono tra i due generi: nel momento in cui la vita di un uomo viene fatta oggetto di un romanzo, questa diventa, sotto un certo aspetto, già una creazione letteraria, perché viene filtrata attraverso l’occhio e il giudizio dell’autore. Per cui, secondo Carrère, ridurre all’invisibilità quest’occhio esterno potrebbe appiattire la persona descritta; inoltre rischierebbe, paradossalmente, di rendere ancora più evidente le discrepanze tra quello che l’autore e narratore ci mostrano e quello che realmente è stato.
C’è un’altra ragione per la quale il metodo di Carrère è efficace: inserire se stesso nei suoi scritti, e in particolar modo in quelli della raccolta, rende gli argomenti trattati molto più vivaci e interessanti. Se infatti non è semplice capire come cambia la società russa, e come al contrario la politica del Paese segua leggi più o meno sempre uguali, anche se cambiano i protagonisti, quali sono le peculiarità della produzione letteraria di Balzac o cos’è e cosa succede al forum economico di Davos, lui, con la sua descrizione-narrazione in prima persona, rende queste informazioni più accessibili ai lettori.
E sarebbe ingiusto pensare che, mettendo se stesso nei suoi testi, Carrère possa influenzare il lettore ad allinearsi al suo pensiero: è vero che gli scritti giornalistici dovrebbero far trasparire l’idea dell’autore e influenzare in qualche maniera l’utente, tuttavia, come ha scritto Čechov, autore spesso citato da Carrère in questa raccolta, le grandi opere non mirano a risolvere i problemi dell’uomo, ma semplicemente a mostrarli mettendoli in scena. Questo è quello che fa anche Carrère, dando ogni volta la sua versione.