Recensione del libro L’apprendista geniale di Anna Dalton
Vorrei partire da due presupposti fondamentali: io non sono un critico letterario di professione e la scrittrice Anna Dalton è al suo esordio editoriale, tuttavia desidero approfondire il suo primo libro L’apprendista geniale che mi è stato regalato alcuni mesi fa.
Motivo di tale interesse verso questo manoscritto è il tema dell’opera: una diciottenne che si iscrive ad un prestigiosissimo College internazionale a Venezia per diventare una giornalista professionista. Riconoscendomi io nel sogno della protagonista Andrea Doyle (italo-irlandese), ho apprezzato molto questa scelta.
Il libro nella sua interezza non è banale, anzi, la trama regala degli spunti e dei tagli molto originali, in quanto la maggior parte delle pubblicazioni riguardo al giornalismo sono biografie, manuali how-to oppure romanzi che hanno come protagonisti dei giornalisti e non il giornalismo stesso. Tuttavia, questo libro ha due principali difetti, uno di contenuto e uno di prosa.
Cominciando con il primo intoppo, non è credibile che uno dei College più prestigiosi al mondo (così descritto nel libro), con solo una quarantina di ammessi l’anno e che ha appena firmato un contratto di tirocinio con un giornale americano possa accettare una studentessa che come esperienza giornalistica vanta solo una testata di sua creazione con 21 abbonati e con articoli riguardanti le scaramucce dei vicini di casa, piuttosto che la scomparsa di animali domestici e, al limite, alcuni fatti minori di politica locale (cioè paesana). Inoltre, non è credibile che tale studentessa venga ammessa con borsa di studio che copre vitto, alloggio e tasse universitarie e entri con il punteggio più alto di tutte le matricole del primo anno.
Apprezzo l’idea della scrittrice di infondere un senso di fiducia in sé stessi, di premiazione degli sforzi e dei più minimi traguardi di una persona per raggiungere i propri sogni, ma questa trovata è purtroppo molto poco realistica, quasi utopica. Poi c’è la questione legata al clima che si respira in questo College: ci si potrebbe aspettare descrizioni infinite dei personaggi più brillanti, degli studenti con esperienze significative nonostante la giovane età e soprattutto con un elevato senso di maturità. Tutto il contrario. I protagonisti sono persone semplicissime, cosa molto apprezzabile, definite spesso nerd, isolati e presi in giro da tutti i compagni. E sono soprattutto le prese in giro e i dispetti in stile scuole medie o superiori a stonare in quello che dovrebbe essere un ambiente in cui solo le migliori promesse del giornalismo possono entrare.
Leggendo il libro, si ha a volte l’impressione di avere a che fare con una narrazione ambientata in una classe di dodicenni, un altro elemento che toglie credibilità al romanzo. Per quanto riguarda la prosa, il libro manca drammaticamente di descrizioni di qualunque genere e della minima capacità introspettiva e di analisi della psiche della protagonista, fatta eccezione di alcuni momenti che riguardano il passato tragico di Andrea. Questo elemento è preoccupante essendo il libro narrato in prima persona, quindi in grado di ritagliare spesso degli spazi di approfondimento del carattere del personaggio. Inoltre, sebbene apprezzi uno stile di scrittura scarno, con frasi e periodi brevi ma immediati, Anna Dalton non riesce a gestirli in modo da creare un contatto diretto con chi legge, ma sembra quasi essere di fretta nella sua narrazione.
Da lodare è invece il senso di mistero che la scrittrice riesce a creare come un’aura sui alcuni dei personaggi principali e la capacità di tenere sempre a mente il filo conduttore della storia, ossia la passione del giornalismo come promessa fatta ad una persona cara. Per quanto abbia apprezzato l’originalità del romanzo, spero che la Dalton possa di nuovo tornare tra gli scaffali con un nuovo caso editoriale, migliorando però lo stile e gli elementi di contorno e di contesto delle sue opere.
Martina Seppi