Sulle ali del Giornalismo, torna Iannacone con “I dieci comandamenti”
Abbiamo parlato in passato di un grande giornalista che con eleganza, garbo e professionalità riesce a toccare le corde dell’anima parlando di economia, di tematiche sociali, della politica che deve tornare ad essere Politica con la p maiuscola: tutte queste argomentazioni, grazie all’impegno ed alla sensibilità di chi le guarda attraverso le lenti dell’umanità , recuperano il loro valore esistenziale. Soltanto ripartendo dalla prepolitica e dalla bellezza l’uomo si realizza e ricerca dentro sé stesso, negli altri e nelle relazioni con il prossimo la propria identità.
Domenico Iannacone caratterizza la sua attività attraverso domande ragionate, psicologiche ma al contempo semplici ed essenziali che partendo dalla vita di tutti i giorni elevano le vite comuni ad esistenze filosofiche e grandiose, fatte di pensiero ed azione in un’epoca nella quale tutti sono in preda alla velocità ed all’iperattività.
Una delle sue risorse principali si incarna nella capacità di ascoltare; nel programma I dieci comandamenti porta avanti l’educazione coniugata con l’etica e con il desiderio di andare oltre la superficie.
Apprezziamo nei contenuti dei documentari pianificati dall’autore la preziosità dei silenzi, e degli sguardi che talvolta valgono più di mille parole; e le parole suonano come perle da centellinare, che devono intervenire al momento giusto, per evitare di minimizzare situazioni importanti e fatti che meritano rispetto, attenzione e riflessione.
Il 27 ottobre è stata realizzata la puntata speciale de I dieci comandamenti dedicata alle periferie, alla dispersione scolastica e all’indagine sul futuro disagiato di generazioni che sono nate ed hanno visto sviluppare il nastro delle loro vite fra difficoltà e drammi: oltre alla denuncia ed alla descrizione dell’esistente emerge la volontà di riavvolgere il nastro e di ripartire verso orizzonti rinnovati, per dare vita ad un rinascimento delle condizioni sociali e per rivalorizzare i territori. Nei territori esistono luoghi del cuore, spazi per l’anima e tempi per decidere e valutare.
Ed attraverso questa logica Iannacone ci presenta i veri eroi, quelli che vivono all’ombra.
Quella de I dieci comandamenti svolge la reale funzione di televisione di Stato, perché educa, perché contempla la solidarietà e l’aiuto reciproco, ma non a parole, con il lavoro ed il lavorio attivo di una redazione che sviscera tutte le problematiche dei temi delle puntate, eliminando fattori nefasti quali la morbosità e l’intenzione prima di fare audience, peculiarità negative che invece risultano l’elemento portante di altre trasmissioni pomeridiane e serali.
Come figli miei è la narrazione di un Istituto professionale del Parco verde alle porte di Napoli, dove la scuola non soltanto ha l’urgenza di occuparsi dell’istruzione, ma anche della cultura educazionale ed esistenziale di ragazzi che come macchine su una strada potrebbero sbandare e necessitano di una volante in grado di rimetterli sulla giusta carreggiata. Insegnanti davvero eroi lottano tutti i giorni per assolvere alla loro missione e per inculcare nei loro allievi un senso di legalità ancorato all’etica ed alla moralità. I dieci comandamenti riescono davvero in maniera laica ed universale a veicolare quella bussola di valori ed ideali che divengono il motore del cambiamento e l’agenda dello sviluppo umano.
Le emozioni si propagano dallo schermo, lontane da maniere becere e volgari improntate sui falsi sentimentalismi che vanno di pari passo con insegnamenti che si ispirano ad una società cinica e competitiva. Quante volte attraverso tappetini musicali confortanti sono passati messaggi devastanti? I dieci comandamenti rappresentano una canzone con un’armonia piacevole e serena e con un testo di sostanza.
La puntata sulla scuola prefigura una metafora di inizio, di avvio verso una nuova stagione dinamica ed affascinante incentrata quest’anno sui diritti costituzionali al fine di dar vita ad una giusta miscela fra rispetto della legge, comportamenti orientati al buon senso e voglia di non arrendersi.
La prima puntata prende il titolo di Pane nostro, con il lavoro che deve essere soprattutto un valore, una parte integrante della persona, ma che non deve prendere il suo posto. Infatti minimo comun denominatore della trasmissione è il rispetto della centralità della persona per un nuovo umanesimo che però, si ispiri sempre a grandi aspettative e ad obiettivi alti.
Ci ha colpito nella puntata sulla scuola, logica premessa delle successive in onda dal 18 novembre, la ricerca della felicità degli insegnanti, lontani dalle riviste patinate e quindi eroi, che ci danno una lezione di vita indimenticabile: dalla sofferenza si può davvero costruire una gioia futura, e talvolta, noi speriamo spesso, vedere un ragazzo alla lavagna, che ha compreso qualcosa a lui ostico precedentemente, cavarsela perché ha deciso di studiare vale più di tanta gloria e denaro.
Ne viene fuori una descrizione di un sud altro, che vive sulla sua pelle i disagi e che vuole trasformare quei disagi in possibilità e tensioni di avvenire. Un’opportunità per incrementare il proprio bagaglio culturale con profondità, con la giusta leggerezza nei ritmi adatti alle circostanze e con quei silenzi che ci guardano dentro
E così voliamo sulle ali del giornalismo!