Totò Riina: la fine di un’era!

Il giorno dopo del suo ottantasettesimo compleanno, il 17 novembre 2017, Salvatore – detto Totò – Riina, è morto alle 3.37 all’ospedale Maggiore di Parma, dopo essere entrato in coma farmacologico in seguito a complicazioni di salute.

Il suo percorso fatto di sangue, stragi e lotta allo Stato, ha avuto inizio con l’incontro con il boss Luciano Liggio e con il giovane Bernardo Provenzano, mettendo in pratica la cosiddetta “prima guerra tra famiglie” per il potere di Corleone. La “triade”, con lo scopo di conquistare il vertice delle famiglie mafiose, decide di uccidere il capomafia locale, Michele Navarra, prende il suo posto e inizia una vera e propria escalation della città: sterminio dei clan mafiosi rivali, i primi sequestri di persona, i processi finti con le assoluzioni a Bari e Palermo e l’entrata nel mondo borghese.

La svolta per “ù curtu” – com’era chiamato per la sua bassa statura – inizia proprio con la frequentazione dei salotti buoni della città di Palermo, che consentono a Riina di fare il bello e il cattivo tempo, nonostante latitante dal 1969. Negli anni Settanta consolida il suo potere grazie agli agganci con la politica, in particolare con Vito Ciancimino, facendolo diventare sindaco di Palermo.

Nel decennio successivo, diventato “Capo dei capi”, boss indiscusso nel 1982, trasforma il capoluogo siciliano in uno stato di guerra civile. Decide di far fuori tutti gli avversari mafiosi, spesso anche i loro parenti – è la “seconda guerra tra famiglie”. Ormai “La Belva”, creatosi l’impero, decide di “prendersi lo Stato” e sfida gli uomini delle istituzioni che sono contro il suo sistema. Fa uccidere politici (Reina, Mattarella, La Torre), illustri magistrati (Terranova, Costa, Chinnici), ma anche giornalisti, investigatori, medici onesti e il generale Dalla Chiesa. “Palermo come Beirut”, questo è il titolo scelto da molti quotidiani locali per descrivere le vicende.

I primi anni Novanta segnano un grande cambiamento, sia per il superlatitante sia per la Sicilia e gli italiani: ricatta il potere politico per ottenere l’impunità ed è il mandante dell’assassinio del magistrato Scopelliti e del democristiano Lima. Ma a sconvolgere un paese intero, da nord a sud, sono la strage di Capaci del 23 maggio 1992, in cui perse la vita il magistrato Giovanni Falcone, l’Attentatuni come venne ribattezzata dai mafiosi per indicare la strage più grossa, un’esecuzione dimostrativa, e quella di via d’Amelio il 19 luglio, in cui perse la vita Paolo Borsellino, due mesi dopo l’uccisione del collega e amico.

Il 15 gennaio 1993, fu catturato dai Ros del capitano Ultimo a Palermo, davanti alla villa dove aveva vissuto con la moglie e i quattro figli. Ciò ha segnato sicuramente la fine della latitanza, ma il suo potere all’interno della famiglia, è rimasto intatto. Nonostante condannato a 26 ergastoli e sottoposto al regime carcerario 41 bis – carcere duro – riesce a lanciare messaggi e minacce. È stato al vertice di Cosa Nostra, un punto di riferimento per gli uomini dei clan fino alla fine.

Mai pentito del suo passato – “io non mi pento, possono farmi fare tremila anni”, diceva il padrino alla moglie durante un colloquio in carcere – la cosa certa è che venerdì scorso, si sia portato molteplici segreti nella tomba: che fine hanno fatto i soldi accumulati in cinquant’anni di traffici? Sono stati tutti confiscati? Perché ha ordinato ai suoi “scagnozzi” di firmare con la sigla, usata dalla ‘ndrangheta, Falange Armata? È possibile che oltre alla camorra Riina avesse contatti anche con i calabresi? Perché decise di uccidere Falcone in quel modo e non a Roma com’era stato stabilito? Perché aspettare 56 giorni e non far assassinare Borsellino prima o dopo? C’erano legami tra le stragi di Riina e lo scandalo di Tangentopoli? Che cosa c’è di vero nei legami tra il boss e Berlusconi e Dell’Utri? A tutte queste domande, l’unico che ad oggi potrebbe rispondere è il grande latitante di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro, rampollo di una famiglia storica mafiosa trapanese, da sempre vicina a Riina e ai corleonesi.

Certamente la sua morte segna la fine di un’era, ma non la fine della mafia che continua a sparare e fare affari. Gli occhi degli investigatori, degli italiani e soprattutto dei siciliani, sono ora puntati su chi sarà il successore di Totò Riina, perché è risaputo che i clan hanno bisogno di una guida, di qualcuno che li comanda, che sia una commissione, com’era prima dell’era Riina, o un unico capo. Chi prenderà il posto del padrino corleonese? È questa la domanda che rimbomba nelle menti.

 

Isabella Insolia

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