“Turi Ferro – L’ultimo Prospero”: recensione dell’opera in selezione ai Nastri d’Argento per i Documentari 2020.

Turi Ferro - L'ultimo Prospero

“Turi Ferro – L’ultimo Prospero”, documentario a cura del regista e attore messinese Daniele Gonciaruk e prodotto dallo stesso regista con Officine Dagoruk e da Ninni Panzera per La Zattera dell’Arte, dopo la sua presentazione all’ultima edizione della Festa del Cinema di Roma, nella sezione Omaggi e Restauri, entra a far parte della Selezione Ufficiale 2020 dei Nastri d’Argento per i Documentari.

L’opera viene definita dallo stesso regista “un viaggio per dare voce e memoria ad uno dei più grandi interpreti del Teatro Italiano del Novecento.”

Avvalendosi dell’ausilio di interviste, filmati e immagini, Gonciaruk ci restituisce la visione di insieme della vita artistica di Turi Ferro e ci fa intravedere il suo aspetto più intimo grazie alle parole della figlia Francesca.

“Fu durante una sera piovosa di novembre del lontano 1997 nel foyer del Teatro Stabile di Catania, durante l’allestimento dello spettacolo La Tempesta di William Shakespeare che gli chiesi il permesso di poterlo seguire durante le prove con la mia piccola videocamera, una handycam Video 8.”

Salvatore Ferro, detto Turi, nasce a Catania nel 1921 e scompare l’11 maggio 2001. La sua attività nel campo artistico si sviluppa fin da giovanissimo, recitando in spettacoli teatrali a livello professionistico, finché nel 1958 fonda il Teatro Stabile di Catania.

La sua peculiarità è che Ferro non si limita solo al teatro siciliano bensì interpreta anche in lingua italiana e debutta al cinema, acquistando in pochissimo tempo una riconoscibilità scaturita dal profondo talento artistico e da una grande caratura umana.

Nel documentario “Turi Ferro – L’ultimo Prospero” ci viene restituita la rappresentazione di un uomo la cui vita era totalmente dedita all’arte e nello specifico al teatro. La sacralità con cui concepiva il palcoscenico lo portava ad essere un perfezionista, richiedendo molto non solo a sé stesso ma anche agli attori che recitavano nella compagnia.

Le prime parole che udiamo sono quelle di Lina Wertmüller che racconta di come si innamorò subito dell’arte di Turi, di un uomo che aveva una “faccia contadina e nobile”, capace di una grande poliedricità. Lina, successivamente, nell’ascolto intimo dei suoi ricordi, ci racconta del film, mai realizzato e pensato per Turi, “Il dolce e l’amaro”, successivamente divenuto “Mimì metallurgico ferito nell’onore”, in cui l’attore interpretò “tutte le facce della mafia “e di come avesse una profonda abnegazione per il lavoro.  Turi, infatti, impegnato in un altro set, si recava, una volta terminato il primo, da Lina, la quale lo truccava mentre dormiva e spesso gli suggeriva le battute nascosta sotto una sedia.

Lina, come tutti gli intervistati, evidenzia un aspetto corporeo di Turi Ferro: le mani che vengono paragonate ad una danza. Turi era, infatti, un attore estremamente fisico, che utilizzava il trucco per dare anima al personaggio.

“Una straordinaria ironia, una straordinaria autorità e dai silenzi meravigliosi”.

I silenzi, le pause compiute al momento giusto e “parlanti” erano un’altra delle prerogative di Turi Ferro: una qualità che non si impara ma solo si possiede.

Gabriele Lavia, che ha lavorato con l’attore in un romanzo sceneggiato per la tv “I Nicotera”, pone l’accento sulla capacità di Turi di dare “corpo alle battute” mentre Giulio Brogi ci fornisce il disegno di un rapporto non solo lavorativo con l’artista.

“L’ho sentito più fratello che capocomico”: queste le sue parole.

Paolo Taviani racconta il suo incontro, insieme al fratello Vittorio, sui set di “Un uomo da bruciare” e “Kaos”. Conferma di come sia stato colpito osservando Turi a teatro e di come la sua interpretazione rimarrà nella storia.

Fioretta Mari pone l’accento sulla capacità dell’artista di essere “grande” pur mantenendo intatta la propria sicilianità.

Tuccio Musumeci, altro intervistato nel documentario, racconta del loro incontro da giovanissimi e del suo profondo rigore a teatro.

La musica lieve, la riproposizione di articoli di giornali dell’epoca, di frame di spettacoli televisive, teatrali e di prove sono gli elementi che ci consentono di comprendere ancora di più dell’artista: apprezzato dalla stampa e in grado di dare tutto sé stesso a teatro.

Pippo Pattavina ci narra, invece, come “nella vita era un uomo straordinario, simpatico. In palcoscenico si trasformava, diventava l’attore stra impegnato, pretendeva moltissimo dagli attori.”

Turi Ferro non era, tuttavia, solo un attore drammatico bensì possedeva una grande capacità attoriale di stampo comico, come afferma lo stesso Fulvio D’Angelo.

Nel documentario anche Leo Gullotta ci regala il suo ricordo di Turi.

“Un attore che aveva tutte le note dell’interprete attoriale”.

Il trucco utilizzato da Turi per prepararsi al personaggio è nei ricordi di Francesca, sua figlia, che sente ancora, pensando al padre, l’odore del cerone e del mastice.

Mariangela Melato, in un delicato e prezioso racconto, ci regala un aneddoto differente di Turi. Racconta, infatti, di come durante lo spettacolo “Pensaci Giacomino“, a Genova, l’attore ebbe una breve perdita di memoria e ci restituisce l’immagine di “un uomo capace di fragilità e debolezze.”

“Turi Ferro – L’ultimo Prospero” è un’opera che consente di apprendere la levatura di un uomo in cui il cuore, l’anima e le viscere erano colme e plasmate solo di “ARTE”.

Daniele Gonciaruk
Daniele Gonciaruk

Fondamentali per il recupero del girato sono stati l’apporto della Laser Film di Roma che ha curato il restauro del suono, e il lavoro di pre-mix del messinese Patrick Fisichella.

 Il film vanta una preziosa collaborazione con RaiTeche che ha fornito numerose immagini di repertorio, insieme a quelle gentilmente concesse dal Teatro Stabile di Catania di cui Turi Ferro è stato uno dei fondatori oltre che soggetto di riferimento artistico per moltissimi anni.

https://www.facebook.com/dagoruk/

 

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