Versi di David Taglieri: “La soffitta”
Mentre il poeta era affaccendato nel vergare gli ultimi versi della raccolta poetica, che coincideva con la parabola della vita che si azzerava e ripartiva, la giornalista terminava l’articolo tanto temuto e tanto sofferto da inviare al Corriere, la sera stessa testando e tastando i pulsanti della macchina da scrivere che battevano i ritmi di un istante e le percussioni di un’intera esistenza.
Il pittore era nella stanza a fianco ed ispirato da un tramonto romano descriveva, con i registri meravigliosi e geometrici dei dipinti, le sue emozioni primordiali e quelle successive su tela. Lo scultore traeva dalla forma di un’idea la sostanza di un monumento da dedicare alla città eterna che gli aveva rubato l’anima anche se non lo ammetteva. In fondo al corridoio la musicista accarezzava la chitarra leggermente e questa gli restituiva inevitabilmente sogni, dolcezze e realtà. Quel luogo fatato e isolato, ma connesso all’avvenire di cambiamento culturale, si chiamava la Soffitta. Pregna di libri, vecchi LP, fotografie e film d’epoca, quelli che avevano reso grande, maestoso e monumentale il concetto di cinema, la bella di legno era divenuta una sorta di mamma per degli innovatori che credevano nelle loro impressioni, nelle loro scritture, e nel loro estro.
Ed anche se la politica non ne voleva sentire, la cultura era fiera di dannarsi per restituire allo stivale italico un futuro che ripartisse dal suo passato: improvvisamente entrò nel locale della comunità l’attore americano che si era convinto, dopo una notte di sigari, pensieri e vino, a portare i suoi amici dell’arte su un palco per gridare in un monologo corale lo sdegno per il degrado e per il menefreghismo pressapochista di chi si opponeva alla bellezza per vanagloria o per denaro.
E ancor prima di comunicare la proposta l’uomo vide camminare su un davanzale una farfalla che gli sorrideva approvando.